Come affrontare il Male? Come perseguirlo? Come fare, e quanto sommaria, e quanto arbitraria, giustizia? E quando il proverbiale abisso guarda dentro di te, quale ossessione, paranoia, cecità perfino sei disposto a raggiungere?

Interrogativi che risuonano in Maldoror del belga Fabrice du Weltz (Vynian), che trasfigura, e non solo nei nomi, il famigerato caso di Marc Dutroux, il serial killer e pedofilo belga alias il mostro di Marcinelle.

Fuori concorso al Lido, ma è il migliore dei titoli gallici, la munifica produzione francobelga si dispiega per condensazione seriale, impastando poliziesco e sociologico, horror e thriller con qualche insight esistenziale, non nascondendo qui e là una mano, pardon, un occhio pop(olare), enfatico, perfino caciarone - gli emigrati italiani sono da cartolina. Nonostante i vizi di forma e qualche topica grossier, Maldoror si fa apprezzare per la visceralità di questa teodicea tutta umana, terragna, incarnata, anzi, caricata a testa bassa dal torello protagonista, la recluta della Gendarmerie Paul Chartier (Anthony Bajon), che giovane e impulsivo, sprovveduto e "sensitivo", come le bestie sanno essere, si fa cavaliere bianco contro le tenebre lubriche, criminose e oscene del Male.

Sicché quando due ragazzine scompaiono, Chartier viene assegnato a Maldoror, sparuta e segreta unità creata per monitorare un inteso maniaco sessuale. Ma quando l’operazione fallisce, soprattutto per la mancanza di coordinamento tra i tre corpi di polizia belgi a rischio convergenza legislativa, Chartier coniuga la giustizia in prima persona singolare e decide di dare la caccia ai colpevoli per conto proprio. Costi quel che costi, a partire dal matrimonio (Alba Gaïa Bellugi): ma se il coté pubblico è così efferato come si può salvaguardare il privato?

Maldoror ha un’idea di pubblico, appunto, e una conseguente di cinema, inclusiva anche laddove annoveri l’aberrazione della pedofilia: l’inarrivabile Red Riding, la prima di True Detective, ma anche Dostoevskij dei D’Innocenzo sono un’altra cosa, ma Maldoror fa il suo, e non è poco.