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Maigret di Patrice Leconte - @ Pascal Chantier
Mai Maigret fu più adatto. È il caso del grande Gérard Depardieu che con la sua andatura incerta, mentre fuma la pipa (anche se il medico gliel’ha sconsigliato) veste i panni del famoso personaggio letterario nato dalla penna di Georges Simenon. Protagonista di settantacinque romanzi e ventotto racconti di genere poliziesco rappresentati in numerose produzioni cinematografiche, radiofoniche e televisive, interpretato da cinesi, giapponesi e inglesi, nonché dall’italiano Gino Cervi, Maigret sembra essere stato scritto apposta per essere recitato dal grande attore francese.
Schivo, ingombrante, malinconico il famoso commissario si avvia verso la fine della sua carriera. Ha perso un po’ il gusto per il suo mestiere. Lo ritroverà quando dovrà risolvere un caso piuttosto complesso: quello di una giovane morta. E vedendo che i conti non tornano: ritrovata a Place Vintimille a Parigi, indossa un abito da sera consunto e una scarpa d’argento con tacco a spillo che farebbero pensare a una prostituta, ma nessuno sembra conoscerla e non ci sono altri elementi per identificarla.
Patrice Leconte adatta, o meglio come dice lui “adotta”, insieme a Jérôme Tonnere (con cui aveva già collaborato in Confidenze troppo intime, Il mio migliore amico e Una promessa) il libro Maigret e la jeune morte (1954). Da maestro dei contrari quale è gioca tutto sugli opposti e inverte la rotta: il detective non è più l’eroe sicuro, vigile e deciso alla Sherlock Holmes, diversamente Maigret, pieno di dubbi, naviga a vista, non sembra più lui (come gli dice la moglie) e va avanti senza troppa convinzione non fidandosi di ciò che è ovvio perché nulla è “Elementare, Watson!”.
Il polo qui non è tanto la ricerca del colpevole, ma quel che importa, nella dicotomia carnefice/vittima, è l’identità della ragazza uccisa. È lei che Maigret cerca con tutte le sue energie e noi spettatori insieme a lui.
I confini sono labili, le zone d’ombra sono tante, non c’è alcuna voglia di essere conformi o di appartenere a qualche rango (Maigret è uno che non ha rispetto per le classi superiori e che non si trova a casa nell’alta borghesia: non vuole essere di quel mondo, ben più sensibile invece alle origini delle giovani che arrivano dalla provincia di Parigi).
Specchio dei nostri tempi incerti, quest’antieroe protagonista mette la punizione sullo sfondo e l’essenza (della vita e dell’essere) in primo piano. Il giudizio è relativo, la ricerca, l’ascolto, l’apertura sono le sole cose che contano. Anche se di aperto in questo film crepuscolare e intimo dall’impianto classico (“ma non polveroso”, come sottolinea Leconte, piuttosto lo definirei “fumoso”, quasi un omaggio alle sale cinematografiche del passato) c’è ben poco perché il regista, che ama essere coinciso come il “suo” Simenon, ha già dichiarato che non dirigerà un secondo Maigret. Niente sequel o serie tv sul celebre commissario in arrivo, quindi.
Non temete però il grande Depardieu si accinge a diventare un altro attore feticcio di Leconte, al pari di Jean Rochefort e Daniel Auteil, e prossimamente lo vedremo protagonista di un nuovo film da lui diretto. Non sarà però Maigret. Pazienza, ci faremo bastare questo (Maigret-Depardieu) che ci seduce con le sue relative debolezze e fragilità, con le sue zone d’ombra e le sue incertezze, e con tutta la sua umanità e la sua poesia… da non perdere.