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Mai Stati Uniti
Antonio è un cameriere napoletano rovinato dalla passione per il gioco; Angela è una segretaria single in preda all'ansia e agli attacchi di panico; Nino, ex meccanico, fa il clown nelle feste per bambini ma ottiene solo sberleffi, compresi quelli che gli indirizza il figlioletto rimasto con lui dopo il divorzio; Carmen cerca lavoro, affidandosi alla propria immagine; Michele è un giovanottone ingenuo cresciuto in uno zoo dal quale ora viene cacciato. Un giorno questi cinque personaggi si ritrovano nello studio di un notaio, dove vengono informati di essere fratellastri. Il loro padre comune, un tale Vanni Galvani, mai conosciuto e di cui nessuno sospettava l'esistenza, morto da poco, li ha lasciati eredi di una cospicua somma, con un patto: tutti insieme devono portare le ceneri del genitore negli Stati Uniti e spargerle in un lago dell'Arizona.
“E' il terzo film – ricorda Enrico Vanzina - che ambientiamo negli Stati Uniti, dopo Vacanze in America e Sognando la California. Come quelli, è un film corale, on the road, un film più maturo, che affronta un argomento di grande spessore: il senso della famiglia”. E' vero, l'argomento c'è, ma elevarlo al rango di spunto per dibattiti sembra anche stavolta eccessivo.
Se un merito ha il cinema dei Vanzina , è quello di evitare ogni contiguità con i territori spesso evanescenti della discussione. Si guarda la realtà, se ne prendono spunti per mettere sotto la lente pregi e difetti di alcuni personaggi, li si segue nel loro incerto procedere nei tumulti della quotidianità, li si osserva alle prese con le bizze del caso e della fortuna. La musa dei Vanzina Brothers pedina da vicino questa fascia di umanità disadattata e indifesa, incapace di cedere alle furberie in voga e determinata a difendersi facendo ricorso a risorse di ironia, timida ribellione, gestualità improvvisata e spiazzante. I cinque fratelli/sorelle chiedono allo spettatore di aderire al patto narrativo lanciato all'inizio, e, dopo, di lasciarsi andare alla girandola di equivoci che la situazione crea.
Le disavventure on the road attraversano atmosfere da commedia italiana all'antica, con supporto di dialoghi, scambi di persone, inciampi dietro i quali pare sempre di vedere la sagoma ammonitrice del genitore Steno, elegante, timido, sempre misurato. E' una commedia old style, questo nuovo capitolo del diario vanziniano, affidata ad attori giusti, efficaci, sicuri di sé, ciascuno specchio di una piccola fetta della piccola Italia contemporanea. Una comicità forse un po' fuori moda ma semplice, immediata, mai ruffiana, dove Salemme fa Totò, Memphis Aldo Fabrizi e le citazioni sono parte integrante del copione. Il perfetto antidoto a I 2 soliti idioti.