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Magic Valley
Soffoca e risoffoca, alla fine ci scappa il soffocato. E' Magic Valley di Jaffe Zinn, che scava nell'America profonda in Concorso a Roma. Le coordinate sociologiche indugiano nel white trash, la spazzatura bianca, quelle poetiche nell'indie con stile, ma senza esagerare: focus su salmoni in putrefazione, campagne desolanti, rottami umani e materiali, con una gioventù già bruciata dalla bucolica, ma non solo, vicinanza con la morte. Vi immaginate due bambini metropolitani seppellire una ragazzina con pala e carretto presi in prestito da papà? Ebbene, qui succede: siamo nell'Idaho, a Buhl, dove le trote sono le migliori, e il peggio ha plurime candidature.
La legge non legge, vede Walker Texas Ranger in tv con lo sceriffo Scott Glenn, e per sentirsi vivi bisogna provarsi morti: giochi da ragazzi, e non manca un ragazzino sullo skate così Paranoid e android che piacerebbe a Gus Van Sant.
Non solo, c'è pure lo spauracchio di Twin Peaks e la copia carboncino di un Gelido Inverno o Small Town Murder Songs (Torino, l'anno scorso), ma in scala minore: se l'attesa narrativa che non attende nulla (già sappiamo chi è il colpevole) è congruente al milieu che nulla può attendersi, Magic Valley non tiene fede al suo attributo. L'immaginazione fa unicamente e saltuariamente inserzioni d'autore (pesci e altre carcasse), e la valle finisce in secca: realismo e tallonamento, poco altro, compreso un purè di salmone en plein air. Manca il guizzo drammaturgico, il balzo di scrittura, quello solo che può innalzare un peso welter dell'indie Usa a campione del cinema tutto.