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Madame Luna
Cosa succede ai migranti una volta arrivati in Italia?
I titoli di testa di Madame Luna ci introducono sulle coste dell’Italia, nei centri di accoglienza che ospitano chi ha appena concluso una traversata estenuante via mare. La livida, taciturna Almaz è giunta dall’Eritrea, ma parla italiano, inglese, francese e un pugno di lingue africane. Allocata in uno squallido, sovrappopolato monolocale con altre donne e una bambina, impiega poco a farsi strada tra trafficanti, criminali locali e sfruttatori. Conosce gli orrori della tratta, lei stessa ha alle spalle un passato enigmatico e atroce, da nocchiera di una nave che, nel passaggio dall’Africa all’Italia è rimasta decimata, ma si reinventa traduttrice, anzi mediatrice culturale per sopravvivenza. La riccioluta Eli, però, sa del suo passato sterminatorio: la riconosce, le chiede aiuto per liberare il fratello imprigionato nelle prigioni libiche, ma le loro strade si rintrecciano in Italia solo per andare incontro a un destino sanguinolento. E irredento.
Nell’alleanza al femminile di necessità e di resistenza oltre la barbarie, il sadismo, l’inumanità (spesso al maschile) Madame Luna gioca le sue carte migliori. Film emancipatorio e sinottico, notturno e assolato, che inizia e finisce in mare, sa abbracciare in ampiezza il particolare e il generale: il pas de dieux incarnato da Meninet Abraha Teferi (forse fin troppo mono-espressiva) e Hilyam Weldemichael (convincente senza strafare come la grifagna Claudia Potenza) e il contesto sociale vessatorio. Centri di accoglienza che sono tortura, reclusione, rimpatrio, spegnimento di sogni, impossibilità di evasione. Chi viene dall’Africa, dopo le tremende angherie subite nel continente, nei rimpalli e nelle lungaggini burocratiche, finisce presto preda di trafficanti e aguzzini senza scrupoli che sfruttano i nuovi arrivati tra campi da coltivare, edilizia e prostituzione.
Insomma Espinosa accantona i film di genere per abbracciare il realismo sociale più sconsolato e rabbioso. Vuole problematizzare, testimoniare e consegnare la questione allo spettatore con tutta la pulizia discorsiva e la necessaria empatia verso i vinti. In un vorticare insistito di piani sequenza fatti di angosciose camere a spalla, registra con desolazione lo stato presente delle cose. Presente che è, alle porte della civilissima Europa, ancora morte, miseria, sfruttamento, attesa snervante, colonialismo interno. E guerra santa dei pezzenti. Tra italiani che rinchiudono e sfruttano africani, nel mezzo, ago della bilancia, si erge lei, Madame Luna, questa protagonista de-eroizzata, sfaccettata, perfino brutalizzata: umana e cinica, egoista ed empatica, caina e altruista. Espinosa bandisce ogni retorica, mostra la rabbia, lo scontento, la disperazione, la carneficina, il calcolo personale. Merito anche della sceneggiatura rigorosa e testamentaria vergata a quattro mani da Maurizio Braucci e Suha Arraf che rielabora fatti realmente accaduti, colorando con un apprezzabile impeto civile il thriller che sostanzia i due atti conclusivi del film.
Proiettato in anteprima al Taormina Film Festival nella sezione Focus – Mediterraneo, il film approderà in sala giovedì 18 luglio: avrebbe meritato forse maggiore visibilità, viste le attuali vacche magre al botteghino e la pregnanza del tema.