Terzo capitolo di uno dei marchi di maggior successo dell'animazione “di consumo” che approda, con tanto di “espansione” in 3D, al Festival di Cannes. I più integralisti hanno storto la bocca, e in effetti la notizia che a Cannes venga proiettato Fuori Concorso l'ultimo prodotto Dreamworks fa un po' impressione. Perché se da una parte è vero che c'è un ponte diretto tra la croisette e Hollywood, dall'altra un prodotto scadente resta un prodotto scadente, e un brand per la grande distribuzione commerciale è difficile immaginarselo rappresentato nell'ormai consacrato (e fin troppo sopravvalutato) tempio del cinema d'autore.
Tornando però nei panni dello spettatore, la prospettiva cambia un po', e con essa cambiano anche le valutazioni sul film. Il titolo completo recita Madagascar 3: Europe Most Wanted, “i più ricercati d'Europa". Chi? La solita gang di animali, capeggiata naturalmente da Alex, leone scapigliato e assai poco feroce, che dopo aver furoreggiato nel continente africano cambia emisfero - proprio come succede nei videogiochi, ai cambi di quadro, o quando si deve rinnovare un vecchio titolo venuto in uggia alla platea dei giocatori -, cambiando, così, anche le regole del gioco. Niente paura, i personaggi sono loro, sempre gli stessi - anche se la galleria viene arricchita da una piccola serie di caratteri tutt'altro che insipidi – ma lo schema rodato subisce modifiche consistenti, che in fondo sembrano giovare a un formato nato debole e vacuo. Montecarlo, Roma, Londra: un set nuovo e vario com'è vario l'orizzonte del vecchio continente concede una felice occasione di lasciar da parte le scenografie monotone e un po' piatte dei primi due film. Si dà per scontato che i personaggi non abbiano più grandi spunti da offrire, si sposta perciò il baricentro dalla parola all'azione, dalla battuta alla gag, dalla sceneggiatura alla coreografia e si lascia finalmente che il colore diventi un po' più elemento dinamico e un po' meno un dettaglio della finitura. Le citazioni, parodistiche o no, abbondano ma con misura, stando attenti a tenersi fuori dal gioco scoperto - che forse ha già fatto il suo tempo - della fiera campionaria del postmoderno.
Lo zoo, la savana, la foresta e poi il circo: sarà che il cinema a stelle e strisce è a corto d'idee, sarà che i vecchi classici non passano mai di moda, fatto sta che per ritrovare vitalità, il terzetto di registi (Darnell, McGrath, Vernon) ripesca la pista circense, facendo in modo poi (la dura legge del blockbuster) di espanderla, scompaginarla, ampliarla in ogni direzione: nelle tre dimensioni dello spazio e in tutte le declinazioni cromatiche immaginabili. Risultato: il 3D per una volta serve a qualcosa; nonostante l'elementarietà del tratto e dei processi d'animazione, quel che si vede appaga e diverte, la colonna sonora aggiusta un po' il tiro, restando comunque pudicamente enfatica, eccessiva, e sembra quasi che finalmente il motore abbia trovato il giusto ritmo per marciare a pieni giri. Nei limiti concessi dalla legge... di mercato.