"Quante docce mi restano prima di morire?". Barberie Bichette - per tutti Barbie - ha 55 anni ed è nel pieno di una crisi di mezza età. Diviso in tre atti - una commedia, una tragedia, un'epifania, “Pif”, “Paf” e “Youkou!” - Ma vie Ma gueule è il film postumo di Sophie Fillières, regista francese scomparsa lo scorso luglio dopo una malattia, che non ha potuto completare il montaggio della sua ultima opera, chiedendo ai figli (Agathe e Adam Bonitzer) di supervisionare la postproduzione iniziando dal montaggio affidato al sodale François Quiqueré.

È dunque impossibile non ravvisare tanto nel film - che oggi apre la Quinzaine des Cinéastes al 77mo Festival di Cannes - quanto nella performance della sua bravissima protagonista, Agnès Jaoui, gli echi di un autoritratto di una donna che inizia sì a ragionare sull'eventualità di una fine, ma non per questo ne attende immobile l'arrivo.

Tra sedute di psicoterapia insoddisfacenti, il difficile rapporto con la figlia adolescente, telefonate di amiche logorroiche, il lavoro surreale in un'agenzia pubblicitaria (dove arriva, scrive una poesia di getto, e se ne va), una sortita dalla sorella (cameo di Valérie Donzelli), Barbie ha 55 anni "ma ancora non ho capito la mia natura": ecco, il film di Fillières traduce questa continua sospensione emotiva e caratteriale nelle altrettanto repentine oscillazioni di tono e cifra che ogni situazione propone, giocando sempre con il doppio registro della comicità dell'assurdo e della tenera malinconia.

Decisamente più brillante nella prima parte, This Life of Mine (questo il titolo internazionale) accenna anche al disorientamento che si può vivere per la malattia di un proprio caro (il padre della protagonista, che non vedremo mai, immobile a letto) ma anche alla confusione che può farci cancellare ricordi e persone appartenute ad un'altra fase della nostra vita: emblematico, in questo senso, l'arrivo di Bertrand (esilarante la scena del suo "avvicinamento" tra i tavolini del bar), un tempo ragazzino di cui (forse) Barbie era innamorata, ora perfetto sconosciuto che la aiuterà dopo un malore.

La "tragedia" della seconda parte è proprio quella relativa al ricovero della protagonista, periodo che anticipa "l'epifania" conclusiva, quel viaggio dove poter lasciare traccia di sé in quella splendida vallata incontaminata. Dove ritroverà Philippe Katerine (già incontrato tempo prima in un parco, con tanto di dissertazioni sui piccioni quali “topo del cielo”), anche compositore per il film, in un ruolo diegeticamente molto evocativo. 

"Per me c'è una sorta di transfert, ma Barbie non sono io, è semplicemente la persona giusta a cui mi avvicino il più possibile: in lei trovo una verità, la verità di un essere umano, che non ha nulla a che fare con la realtà, l'irrealtà o l'accuratezza. Sono i suoi sentimenti, le sue emozioni e il suo desiderio di reintegrarsi il motore di questa narrazione" (Sophie Fillières).