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Il Vangelo ha fornito parecchia materia narrativa alla cinematografia mondiale e pare superfluo spiegarne il perché. Questa volta, però, ci troviamo di fronte a un oggetto realmente inedito che può lasciare perplessi e spiazzati, ma non manca di incuriosire. Celia Rowlson-Hall, statunitense qui alla sua opera prima, percorre la sua personale via del sacro approntando una rivisitazione della figura della Vergine Maria in chiave contemporanea.
Facendo piazza pulita del dialogo e concentrandosi sulle performance del corpo, quasi alla ricerca di una purezza primigenia dell’immagine, la regista, sulla quale forte è l’influenza della propria formazione di ballerina, ritrae una Maria assorta e androgina, intenta a percorrere l’arido deserto degli Stati Uniti del sud-ovest, in attesa del parto che cambierà la storia del mondo. Tutto questo, attraverso un cammino che passa per motel e autostrade, figure maschili e femminili ambigue che fanno tanto film dei fratelli Coen.
Lo spunto poteva, e pur sempre rimane, tremendamente affascinante. La figura di Maria non è nuova a riletture cinematografiche, ad esempio quel Je vous salue, Marie di Godard che fece scandalo negli anni ottanta, ma qui la regista americana imbastisce un videoclip di un’ora e venti che gronda surrealismo misticheggiante da tutti i pori, spesso incomprensibile e francamente noioso. Coraggiosa la scelta di puntare sulla forza dell’immagine a discapito del dialogo, ma la ricerca del simbolico a tutti i costi è un’arma a doppio taglio e un’impresa rischiosissima che riesce raramente anche a un europeo. Figuriamoci a un americano. Tra gli Eventi Speciali delle Giornate degli Autori a Venezia 72.