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L'uomo nel bosco
Per fortuna che Alain Guiraudie c’è. Non sempre è riuscitissimo quel che porta sullo schermo, ma mai è men che intelligente: potremmo chiederci se il cinematografico tout court sia il suo specifico, ché da narratore sarebbe uguale o più, però pochi altri storyteller hanno fatto dell’ironia costruzione, del paradosso architettura, del sesso liberazione (conflitto) come lui.
La nuova intrapresa per immagini e suoni è L’uomo nel bosco, traduzione italiana dell’originale Miséricorde, battezzato a Cannes Premiere e, per quel che vale (spoiler: non tanto), laureato miglior film del 2024 dai Cahiers.
Scritto, e come altrimenti, dallo stesso Guiraudie, interpretato da Félix Kysyl e Catherine Frot, frulla Pasolini (Teorema) e Simenon, Chabrol e, in parti uguali, Samperi e Bellocchio (I pugni in tasca) e deraglia dal plausibile per l’inverosimile con licenza di verità: non si è troppo preti, brutti o fresche vedove perché non ci si possa provare, ed è in questo provarsi che Guiraudie si mostra per quel che è, ovvero dialettico, rivoluzionario e – vi ricordate i peni dell’inarrivabile Lo sconosciuto del lago – eiaculante senso nell’abulia e ignavia di tanto, troppo cinema qui e ora.
Sicché Jérémie (Kysyl, memore di Trintignant, sarebbe perfetto per interpretare Fioravanti) torna nel villaggio di Saint-Martial per il funerale del panettiere che gli insegnò a panificare: si ferma per qualche giorno a casa della vedova Martine (Frot), si guadagna la gelosia, e qualcosa più, del figlio Vincent (Jean-Baptiste Durand), la tensione dell’abbrutito Walter (david Ayala), l’attenzione del parroco (Jacques Develay) e, per non farsi mancar nulla, della polizia locale. Ma la detection non abita qui, la ruralità corteggia la metafisica – ma subito trova il prosaico – e Guiraudie ara luoghi comuni e sotterra corpi: cresceranno i funghi – segnatamente, spugnole – a Saint-Martial, e se son indizi indizieranno.
Da Teorema, Jérémie porta seducente scompiglio, adesca più compitamente che compiutamente, e diviene parte, e corpo, per il tutto di Guiraudie, che stavolta chiede al sesso di sostituirsi metonimicamente al conflitto: Miséricorde è virtù senza causa né scopo, sfugge al rimedio per darsi nella mera disposizione d’animo, nell’essere tratto distintivo anziché dispositivo.
Così il cinema di Guiraudie che trova letti e corpi altrettanto sfatti, erezioni estemporanee, pulsioni a perdere e, in attesa di qualcosa di più sostanzioso, volevo solo dormirle addosso: come diceva Fantozzi, “prendo la vecchia”
Può essere sottovalutato, altroché, o derubricato a divertissement senza impegno, nondimeno L’uomo nel bosco conferma la misura aurea di Guiraudie, dunque la sua croce critica e delizia ermeneutica: ci vuole un’intelligenza per coglierne un’altra.