La Sortie des usines Lumière (per molti e per convenzione, il battesimo del cinema con la proiezione parigina del 28 dicembre 1985) certo, poi L’arrivo di un treno alla stazione di Ciotat (1896) e come dimenticare La colazione del bimbo o L’innaffiatore innaffiato. Fondamenta della Settima Arte.

Ma ad Auguste e Louis Lumiére, imprenditori, pionieri, visionari, metteur en scene, autentici cineasti, proto-produttori e distributori, va ascritto molto di più. Ovvero il merito di aver seminato i germi di tutta la Storia (del cinema) che verrà in più di duemila vedute (leggasi cortometraggi).

Dopo il primo doc Lumière! L'invenzione del cinematografo (2016), Thierry Frémaux , direttore dell’dell’Institut Lumière di Lione, nonché plenipotenziario del Festival di Cannes, con Lumière – L’avventura del cinema toglie la polvere a centinaia di altri lavori dei fratelli cineasti (cinquanta secondi l’uno per 16/20 fotogrammi al secondo), restaurati con la Cineteca di Bologna che si occuperà anche della distribuzione nelle nostre sale dal 3 aprile con Lucky Red, dopo l’anteprima al festival di Roma 2024.

Frémaux lavora di sintesi, analogia e sineddoche. Ne esce fuori un mosaico a tutto tondo, poderoso e pregevole, mirabile ed esaltante, perfino sbalordente, dove il passo breve dei frammenti narrativi non impedisce, anzi consente di approfondire in pienezza e senza altezzosità giudicanti abitudini, usi, costumi della vita al tramonto dell’Ottocento. Il materiale del doc impressiona per coscienza del mezzo, radiografia storica, cura della messinscena, acutezza stilistica dei Lumiére tale da (forse) ridisegnare equilibri e meriti delle innovazioni cinematografiche.

Il documentario e la fiction. Il peplum e la clownerie. I golfi marinari e le cime innevate. Le fabbriche e le botteghe. Le strade e le valli. Le parate e la famiglia. I tram e i treni a vapore. La Tour Eiffel, la Plaza Mayor madrilena, Piazza san Marco e il porto di Algeri. I bambini e la nave in gran tempesta. La ginnastica e le truppe in guerra. Il thè in Giappone e il mondo operaio.

Campo lungo e primo piano (involontario). Camera fissa e carrello (con la cinepresa fissata sulle navi dei golfi, all’epoca erano dette ‘panoramiche’). Ralenti e dettaglio. La pubblicità e gli home video. Il meta-cinema e il remake. La profondità di campo e lo sguardo in macchina. Il bianco-nero e il colore.

Ed è già Vigo, Renoir, Lang, Welles, Visconti, Rossellini e Kiarostami.

Nelle loro vedute nidifica già tutte le magnifiche sorti del cinema. Derivazione pittorica (dei termini e dello sguardo), sublimazione eidetica del mezzo, senso estetico sì, ma soprattutto etico dell’inquadratura. Il realismo come missione, lo sbalordimento come piaga da stornare, il posizionamento della macchina da presa come gesto espressivo e politico. È il cinema secondo i Lumière, nel suo scoprirsi e nel suo farsi. Una cinepresa che piantata, protesa sul mondo con inesausta curiosità per ritagliarlo, documentarlo, fissarlo, esportarlo, riprodurlo, consegnarlo allo spettatore.

Lumiere - L'avventura del cinema si fa, dunque, archeologia del nostro sguardo, gemmario della nostra cinefilia, ma anche ritorno al futuro. Come suggerisce la voce narrante (finalmente!) abbacinata di Mastandrea sulle note del piano di Gabriel Fauré, in questi film “il cinema c’è già dall’inizio, come lo conosceremo per sempre”.