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Liam Neeson in L'ultima vendetta
Ha almeno un merito, l’opera terza di Robert Lorentz, già produttore di Clint Eastwood da Mystic River ad American Sniper e regista di Di nuovo in gioco: restituire Liam Neeson (che Lorentz aveva già diretto nell’action Un uomo sopra la legge) a un cinema sulla carta meno usa e getta, che interpreti il genere in maniera più introspettiva che muscolare senza rinunciare al dinamismo. Peccato che l’originale In the Land of Sants and Sinners (a Venezia 80 nella sezione Orizzonti Extra) diventi l’anodino L’ultima vendetta, titolo così legato ai cliché giustizialisti del più consunto revenge movie. Non fosse altro perché non mancano le ambizioni in questa specie di western contemporaneo di matrice irlandese, soprattutto per come torna alla stagione nera dei “troubles”, della “domenica di sangue”, della lotta armata.
Lorentz incastona la sua vicenda proprio all’interno di questa tensione, tenendo sullo sfondo il conflitto civile e politico per concentrarsi sul precipitato umano e sulle conseguenze del passato. In un villaggio fuori dal tempo, quasi un luogo comune, Neeson (che carisma, comunque, da reduce di se stesso) è un pensionato che forse si è lasciato alle spalle il passato oscuro, ufficialmente vende libri di seconda mano e prova a vivere gli ultimi anni sperando nella redenzione, ma in realtà è al soldo di un boss locale che ricorre a lui per i lavori sporchi.
Tutto cambia quando arriva Kerry Condon (che vigore, implacabile quanto fragile: una grande attrice a cui basta inarcare un labbro per dire tutto), una spietata terrorista dell’IRA, i cui affiliati mettono una bomba a Belfast uccidendo accidentalmente tre ragazzini. Ciarán Hinds (che faccia, comunque, nei cui solchi c’è tutta la storia di un popolo) è l’ufficiale della Garda che si occupa del caso: lo fa insieme al migliore amico, Neeson, che di fronte all’inaspettato corso degli eventi deve decidere che fare: farsi gli affari propri o svelarsi agli occhi di una comunità che lo crede santo e non peccatore?
Benché permetta a Neeson di misurarsi con un personaggio tutto sommato complesso, con un’apparente statura morale da post-cowboy e un tormento personale di facile lettura (quel tipo di contraddizione su cui si edificano molti caratteri eastwoodiani), L’ultima vendetta è soprattutto un’efficace galleria di facce (ci sono anche Colm Meaney, Jack Gleeson, Niamh Cusack) più che un coinvolgente teatro di guerra. Che sfrutti al meglio l’effetto del mondo a parte è fuori discussione, ma non sempre trova compattezza organica e tenuta narrativa, puntando più sull’atmosfera inquieta che sul ritmo incalzante. Comunque, interessante l’idea di uno spettacolo per adulti (maturi se non anziani), né per forza accattivante né necessariamente accomodante.