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L'ultima legione
Dal nuovo sodalizio targato Valerio Massimo Manfredi, storico, archeologo, romanziere e ora anche penna prestata al cinema, e Dino De Laurentis, arriva nelle nostre sale l'ennesimo epigono fantastorico sulla scia de Il gladiatore, L'ultima legione. Siamo alla fine del V° secolo d.c. e sono anni travagliati per Roma, stretta tra il malumore popolare e barbariche invasioni. Gli ultimi arrivati sono i Goti, abbigliati di pelle d'orso sulle spalle e lance alla mano. I Goti non sono diversi dagli altri: vogliono una fetta dell'Impero e sono allergici alla diplomazia. Così, guidati dal bruto Odoacre, penetrano di forza il palazzo imperiale lasciando sul posto legionari e sovrani. Con sé portano via solo il piccolo Romolo Augusto, ultimo discendente dei Cesari e da poco proclamato Imperatore. Sarà compito del generoso Aurelio, capitano di legione, del sapiente Ambrosino, maestro di Romolo, e di una ciurma di valorosi guerrieri, su tutti la saracena Aishwarya Rai, inenarrabile per bellezza e inverosimiglianza, riportare l'Imperatore a casa e l'Impero al suo antico ordine. Non tutto però va come previsto: non tanto per i personaggi, che si sa già come e cosa faranno, ma per lo spettatore. Alla fine ci ritroviamo infatti con il mago Merlino, re Artù e la spada nella roccia. Dal neo-peplum di marca americana al ciclo di Bretagna: il passo è lungo, troppo. Il film così si spacca in due, disorientando chi guarda. Da un campo di battaglia si finisce in un altro, e anche i nemici non sono più gli stessi. Attori, più sommersi che salvati: il povero Colin Firth fa del suo meglio per risultare credibile, ma il giovane Thomas Sangster è monolitico nella sua inespressività, mentre Ben Kingsley è la parodia di se stesso in attesa di tempi migliori. Della Ray si è già detto. La regia non brilla per inventiva limitandosi a mettere in scena una sceneggiatura senza scatti, eccetto che per i salti mortali di cui sopra. Ogni mossa, gesto, battuta, ampiamente previsti. I personaggi ridotti dall'usura a figurine senza spessore. Forse il peplum è definitivamente morto.