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“Lucus a non lucendo” è una frase latina sul cui significato si è molto dibattuto nel corso del tempo e che letteralmente sta per “[La parola] bosco [deriva] da ‘che non è illuminato’”. Carlo Levi la riprese per definire il paesaggio lucano conosciuto durante i tre anni di confino, piegata però secondo una lettura personale: l’idea di un bosco tanto fitto da non far filtrare la luce, uno spazio in cui fare esperienza della conoscenza dell’altro per conoscere se stessi.
Per ripensare l’opera, l’influenza e l’eredità di uno tra i massimi intellettuali del Novecento, Alessandra Lancellotti ed Enrico Masi hanno intitolato il loro documentario proprio così, Lucus a lucendo: A proposito di Carlo Levi, dove il bosco si fa sineddoche di un luogo remoto e rimosso dalla narrazione ufficiale che Levi ha contribuito a riscattare dal suo destino.
Qualche dato: nel maggio del 1935, Levi, medico, pittore, antifascista torinese, venne condannato a tre anni di confino prima nel paese lucano di Grassano e poi ad Aliano, in provincia di Matera. Raccontò l’esperienza in Cristo si è fermato a Eboli, una tappa fondamentale della letteratura italiana tuttora incredibile la sua ricchezza: romanzo e memoir, etnografia e autobiografia, denuncia e tormento, il racconto di formazione di un uomo che si scopre scrittore civile trovando un nuovo modo di esprimersi al di là dell’arte figurativa.
Lungi dall’essere operazione didascalica di restituzione di un profilo umano e artistico pressoché unico, Lucus a lucendo riesplora l’universo di Levi calandosi nei suoi spazi, fisici e mentali, territoriali e materici. Non solo il ritorno nel paesaggio lucano eternato da Levi e che oggi ci appare parimenti bisognoso di una narrazione in grado di connettersi alla sua natura, ma anche – e soprattutto – un viaggio all’interno della sua produzione pittorica segnata dall’impatto con la terra di esilio in patria.
A guidare la narrazione il corpo del nipote, Stefano Levi Della Torre, anche lui pittore, che mette in campo la propria presenza per ricostruire la parabola artistica dello zio, dall’incidenza della scuola parigina nella definizione dello stile alla rappresentazione del sud come “mondo d’argilla”. E con lui un altro seguace di Levi, Carlo Ginzburg, incaricato di trasmettere l’opera versatile di una delle voci più importanti del secolo scorso.
Attraverso l’utilizzo di materiali d’archivio, immersioni nel colore e riprese contemporanee, Lucus a lucendo riflette sulla capacità di Levi nel far emergere le sopravvivenze arcaiche coperte dal tempo moderno, l’accesso a un repertorio ancestrale mitologico ancora presente e la sua ricodifica nel presente, la divergenza specchiante di un settentrionale capace di tramandare l’esplosione meridionale.
Un film attivo, esperienza visiva e mentale, itinerario sentimentale e meditazione poetica, che non si accomoda nella commemorazione didattica ma, a partire da Levi Della Torre e Ginzburg, dialoga con gli effetti, i frutti, i lasciti dell’opera di Levi, si riscopre nell’oggi non per dovere celebrativo ma per reale aderenza, accompagnando lo spettatore in un viaggio sull’immanenza di una lezione, su un secolo che trova in Levi sintesi e espressione tra le più alte.