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Lucania è una storia semplice, calata completamente nell’atmosfera della campagna lucana, in bilico tra dimensione onirica e un amaro risveglio. C'era una volta una ragazza, appena dismesso “l’abito” di bambina, traumatizzata dalla scomparsa prematura della madre. E c'era suo padre, agricoltore da una vita, sul punto di perdere anche la sua terra.
La pellicola è una moderna fiaba popolare, dalla sceneggiatura stringata ai dialoghi in dialetto, sottotitolati. Un divieto morale si contrappone alla tentazione, il rifiuto genera un antagonismo insaziabile e la risoluzione passa dallo scontro. Nel frattempo, però, avviene il miracoloso avvicinarsi di due anime, vicine da sempre eppure, sinora, mai veramente a contatto.
Lucania è un’odissea, anzi, un’Eneide folk nel mondo della Basilicata, la cui magia appare tristemente al tramonto. La decadenza, l’abisso opprimente incombe sui protagonisti, in fuga dai fantasmi di una casa in fiamme.
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L’occhio dello sceneggiatore e regista Gigi Roccati, educato alla forma-documentario (prima dell’esordio fiction nel 2017, con Babylon Sisters), mostra tutta la poesia visiva di cui è capace: inquadra paesaggi e personaggi da prospettive registiche e narrative che hanno il sapore di realismo magico. Il risultato è che fede, psicologia e valori si confondono in un intreccio minimale, sì, ma pure altamente simbolico e taumaturgico.
I tre attori protagonisti, Joe Capalbo, il volto noto del teatro Pippo Delbono e la giovane Angela Fontana, quest’ultima soprattutto, sanno dare grande profondità a un’introspezione che riflette, in un senso o nell’altro, l’evoluzione di cui è preda tutto ciò che fa da sfondo alla vicenda. Uno sfondo quasi ingombrante, tanto è incantevole, e di sicura empatia, tanto è in pericolo.