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Maremma, campagna dura e pura, 400 ettari di terra da dissodare e coltivare, 100 pecore da tosare, mungere e proteggere dai lupi. E due gemelli, Brunello e Lorello Biondi, indomiti e meccanici, anzi, agricoli: ogni santo giorno a spaccarsi la schiena tra viti, colture e bestie.
Coazione a ripetere e a vivere come dalla notte dei tempi, nonostante la meccanizzazione, nonostante potrebbero vendere ai grandi viticoltori latifondisti (Antinori) e passare il resto di questa e altre vite ai caraibi. Invece no, non ci sono feste che tengano, vacanze che possano, non mollano di un centimetro, non arretrano di un millimetro: lottano, anzi, resistono, anche a se stessi.
Non sono soli, i gemelli, accanto a loro Ultimina, ottuagenaria cantrice, tipo coro greco fatto singolo, della loro storia e di altre storie uguali; Giuliano, che alleva maiali nonostante un cuore recalcitrante; la mamma di Giuliano, Wilma, che non ne può più; Mirella, la compagna romena di Brunello, almeno il sabato. Li seguiamo nelle quattro stagioni, dall’estate alla primavera, lì nel podere di Pianetti di Sovana, dove il tempo s’è fermato, ma chissà ancora per quanto.
In Concorso al 35° Torino Film Festival, è Lorello e Brunello, diretto dal montatore Jacopo Quadri. E’ quel che si dice una chicca, un gioiellino empatico e accorato, che mantiene la giusta distanza dai suoi protagonisti, salvaguardandone il mistero e, dunque, la dignità: i gemelli, e gli altri, il documentario non li esaurisce, non li “spiega”, si limita, ed è prezioso, a guardarli, raccontarli, lasciando a noi, se crediamo, il capirli.
E’ anche una bella e buona storia di resistenza, che saggiamente Quadri non enfatizza, preferendo puntare sulle recinzioni, anzi, il recintare vario e iterato dei gemelli tra pali, filo elettrico e “se ci vede Trump ci fa costruire il muro”. Il nemico, si capisce, è là fuori. E no, non è il lupo. Da vedere, riflettere e custodire.