PHOTO
Angelina Jolie e Matt Damon
Denuncia, ironia, classe, ambizione. Persino un Matt Damon perfetto nella sua inespressività di sempre. Non manca niente a L'ombra del potere di Robert De Niro. La delusione di chi da lui si aspettava un attacco frontale alla Cia non rende giustizia al film: thriller politico, intelligente e sofisticato, che pecca piuttosto in struttura e ambizione. I troppi flashback disorientano la spettatore, portandolo avanti e indietro dalla Baia dei Porci del '61 alla Yale degli anni '40. Seguirlo è stancante e 167 minuti sono davvero troppi. Sbagliato è però misurarne la riuscita nelle rivelazioni sugli scheletri negli armadi dell'Agenzia. La forza di De Niro è anzi proprio quella di vestire la sua critica di normalità. Senza gridarlo, né darlo quasi a vedere, affida le bordate a una spy story di atmosfere, che lambisce l'affresco sociale. Più che indagare sulla Cia in sé, la assume come prisma per misurare follie e disumanità di un sistema e un quadro sociopolitico, quello della Guerra Fredda, che si vanno delineando sullo sfondo. A Matt Damon il ruolo di Caronte in questo viaggio tra pubblico e privato: promettente studente di Yale, reclutato dall'agenzia all'alba della seconda Guerra Mondiale e poi sacrificatosi a scapito della sua stessa vita e famiglia. Per una volta sorretto nel ruolo dalla sua espressione immota, è la personificazione dell'impiegatuccio di mezza tacca, quasi invisibile tanto è anonimo nel suo agire e vestire. Il prezzo da pagare per la carriera è l'archiviazione di qualsiasi scrupolo e affetto, ma lui non sembra fare una piega. Emblematica ed esilarante è anzi l'impassibilità alle pesanti avance di Angelina Jolie, che al primo incontro la costringe a chiedergli stupita: "Problemi con le donne, Mr. Wilson?". Mentre come lei (che sposerà per convenzione) escono sane le altre donne a cui si accompagna (senza convinzione), malata e perversa fino al midollo appare la Cia che si delinea sullo sfondo: un corpo settario e senza scrupoli, che al cancro del mondo in blocchi risponde con la terapia dell'esclusione e del maschio autoritarismo. Insieme alla filiazione naturale con l'utero ricco della società e gli ambienti della massoneria, emblematica è una battuta che si riserva De Niro, nel ruolo del generale Sullivan: "Niente negri, nessun ebreo e pochi cattolici" dice, illustrando la composizione della neonata agenzia -. Ma giusto perché io sono cattolico".