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Carrie Coon e Keira Knightley in Lo strangolatore di Boston. Photo by Claire Folger. © 2022 20th Century Studios. All Rights Reserved.
La storia di Albert DeSalvo, passato alla storia con il macabro epiteto “lo strangolatore di Boston” per aver ucciso tredici donne tra il 1962 e il 1964, fu già trattata da Richard Fleischer, che nel 1968 ne trasse un ottimo thriller con un inedito Tony Curtis. Se in quel caso l’indagine era condotta dal detective John S. Bottomly, incarnato da Henry Fonda, quintessenza dell’eroe americano, in questa nuova ricostruzione, scritta e diretta da Matt Ruskin (disponibile su Disney+), a gestire la detection è una donna.
È Loretta McLaughlin, reporter del quotidiano Record-American, prima giornalista a trovare una correlazione tra gli omicidi dello Strangolatore di Boston. Sin dalle prime scene, il film allinea il crime a un racconto sull’autodeterminazione femminile e sull’emancipazione in un posto di lavoro dominato dagli uomini (“Come faccio esperienza se non mi dai una possibilità?” chiede la giornalista al capo).
Il fatto che il serial killer colpisca donne di ogni età ed estrazione colloca Loretta su un doppio piano: non è solo l’investigatrice, ma anche una potenziale vittima, come la povera vicina di casa. E questo sguardo risuona in tutta la rilettura (contemporanea) di una storia che non appartiene più alla cronaca nera americana ma all’immaginario collettivo: la polizia che annaspa, il giornalismo che supera gli inquirenti, il senso di minaccia incombente.
Pur rievocando la prima parte degli anni Sessanta, Lo strangolatore di Boston recupera le marche tipiche della paranoia del decennio successivo. È qualcosa di epidermico, che ha che fare più con la confezione che con il contenuto, dalla fotografia livida di Ben Kutchins alla persistente colonna sonora di Paul-Leonard Morgan. Denota la volontà di restituire la patina vintage del true crime, ma più d’ogni altra cosa funziona il discorso sull’importanza della cronaca territoriale, con la continua messa in discussione dell’assunto secondo cui “metà delle notizie locali sono chiacchiere da bar”.
I film sul giornalismo sono spesso appassionanti e per certi versi lo è anche Lo strangolatore di Boston, che però non sempre riesce a trovare lo spessore adeguato, la gravitas narrativa, la giusta tensione che una storia del genere richiede per emanciparsi dal compitino. E forse il (pallido) carisma di Keira Knightley è un problemino.