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Palermo, 1995, si sta come i lampadari sui soffitti. Una bella donna (Barbara Tabita) se ne sta a casa depressa e angosciata per il tradimento del fratello e il rapimento di un bambino (il riferimento è al piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito e due anni dopo ammazzato dalla mafia nel 1996). Suo marito (Filippo Luna) fa il commissario, cerca di tranquillizzarla e, ogni mattina, si fa venire a prendere da un autista (Paolo Briguglia), che occasionalmente fa anche la spesa per la donna: il commissario vuole trippa per cena, e trippa sarà. Ma c’è anche il lavoro: due ragazzi sono caduti in un agguato mafioso, uno è morto sul colpo, l’altro lotta all’ospedale. C’è un terzo ragazzo coinvolto (Maziar Firouzi), e gli uomini del commissario lo prelevano per interrogarlo: l’interrogatorio diviene sempre più violento…
Primo lungometraggio di finzione del palermitano Salvo Cuccia, Lo scambio è in Concorso al 33° Torino Film festival: alla sceneggiatura ha collaborato il magistrato Alfonso Sabella, già nel pool antimafia di Gian Carlo Caselli, e – dice Cuccia nelle note di regia – “durante le fasi dell’interrogatorio il protagonista parla di fatti e crimini legati a giochi ed equilibri di potere interni a Cosa Nostra in quei giorni sanguinosi dell’ellissi dei corleonesi”.
Ma sono solo indizi, richiami e rimandi in un film che guarda al thriller e al dramma degli equivoci, come da titolo: la realtà, soprattutto in quella Palermo, non è mai come appare, i ruoli sono maschere, la verità finzione. Cuccia muove la camera in maniera insolita, inquadrando le sommità dei palazzi e il cielo negli esterni, i lampadari e il soffitto negli interni: il senso sfugge, come pure quello della ricostruzione teatral-immaginifica dei pensieri della donna, ma è il minore dei problemi, perché “lo scambio” del titolo, che non sveliamo, è alieno alla nostra comprensione, di certo mal catalizzato e poeticamente, drammaturgicamente e ideologicamente supportato.
In bilico tra factual, fiction tv e commistioni aliene, Lo scambio nemmeno beneficia di particolari meriti nella recitazione: è un gigantesco punto interrogativo, senza che peraltro venga voglia di trovare una risposta. Inopinatamente in Concorso.