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Quinto lungometraggio in dieci anni – ha esordito nel 2001 con Lovely Rita, nel 2009 il picco Lourdes – per l’austriaca Jessica Hausner e il suo primo in lingua inglese: Little Joe la porta per la quarta volta a Cannes, ma questa in Concorso. Emily Beecham vi interpreta Alice, una fitogenetista impegnata a creare una pianta dagli effetti anti-depressivi, financo euforizzanti: all’insaputa della società, presso cui è impiegato anche il suo spasimante Chris (Ben Whishaw), la donna porta a casa un esemplare, e lo ribattezza Little Joe, dal nome del figlio.
Atmosfere, gli piacerebbe, alla Gattaca, voltaggio tra il mystery e il thriller, eppure la pianta è grama, la cifra poetico-stilistica è la sospensione o, meglio, l’incapacità del colpo d’ala, del redde rationem, di quel che vi pare: distopia portami via? Macché, si sta tra gli ignavi, il polline impollina gli umani, la pianta è sterile e però si vuole perpetuare: che fare?
Innanzitutto, un film, almeno uno capace di (s)muovere da presentazione ad azione, da studio a risultato: qui no, gli attori a mezzo servizio secondo copione, i registri accennati, che non sai poi, cara Hausner, se sci-fi o ci sei. Tutto timido, in primis le idee, e le emozioni, be’, da laboratorio: la montagna di pianta ha partorito un topolino di film. Lo chiameremo Little Joe.