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Lingui - cr. Pili Films
Nella periferia di N'djamena, capitale del Ciad, Amina (Achouackh Abakar Souleymane) scuoia i copertoni per ricavare materiale con cui costruire cestini da rivendere. È una mamma single, espulsa dalla scuola quando, a suo tempo, rimase incinta, e ripudiata dalla famiglia.
Ora vive con la figlia, la quindicenne Maria (Rihane Khalil Alio). Che però da qualche giorno è cambiata, non le rivolge la parola, di notte ha gli incubi.
Maria è incinta. E vuole abortire. Ma la religione islamica, e quindi anche la legge, lo proibisce. Al tempo stesso, però, la ragazza è condannata a rivivere la stessa esperienza della madre.
Mahamat-Saleh Haroun torna in concorso a Cannes undici anni dopo Un homme qui crie (che gli valse il Premio della Giuria) con Lingui (Sacred Bonds il titolo internazionale), film che proprio partendo dalla sacralità dei legami mette in risalto la condizione di sudditanza e ingiustizia subita dalle donne in ancora troppe parti del mondo.
Mahamat-Saleh Haroun - cr. Dana FarzanehpourAttraverso un racconto lineare e una messa in scena senza fronzoli, Haroun realizza per la prima volta un film dominato da presenze femminili, dove gli uomini – di contorno – pretendono comunque di esercitare ogni tipo di controllo: dal vicino di casa che cerca in ogni modo di convincere Amina a diventare la sua donna all’imam che la redarguisce di continuo affinché non dimentichi di presentarsi alla preghiera.
È un cinema che non ha bisogno di particolari artifici, quello di Haroun, perché rintraccia nella quotidianità di un ambiente oppressivo e ingiusto gli slanci di figure decise a non dimenticare l’importanza, per l’appunto, dei lingui.
Attraverso l’odissea di questa mamma e di sua figlia (solamente a fine film si scoprirà come e di chi è rimasta incinta), il cineasta ciadiano sottolinea il combattimento delle donne, condotto in maniera discreta, per tentare di affrancarsi in un sistema che nella migliore delle ipotesi le vuole ai margini, nel peggiore soccombenti, dove ancora oggi i padri decidono di far infibulare le proprie bambine.
Un film lineare, che sfrutta la propria semplicità per evitare qualsiasi caduta semplicistica. E che, nel finale, offre una simbolica via d’uscita alle due protagoniste, rimaste per qualche attimo intrappolate nel dedalo di vicoletti labirintici.