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Linda e il pollo
Un desiderio? Un pollo con i peperoni. Sembrerebbe anche una cosa semplice, eppure realizzarlo non sarà così facile. Protagonista la piccola Linda (e il pollo, successivamente, come da titolo) accusata ingiustamente dalla madre di aver fatto uno scambio iniquo tra un baschetto giallo e un anello verde smeraldo. La bambina sarà presto redarguita, sgridata, addirittura schiaffeggiata e messa in punizione a casa della zia, un’insegnante di yoga molto poco zen.
Se non che Paulette (questo il nome della mamma), appena si renderà conto di aver sbagliato (la verità è che il gatto ha ingoiato l’anello e poi l’ha vomitato), deciderà di fare qualunque cosa pur di farsi perdonare. E cosa desidera la bambina? Linda veut du poulet, come da titolo originale francese. Non sembrerebbe neanche troppo complicato peccato che quel giorno a Parigi ci sia sciopero nazionale e l’impresa, con le macellerie chiuse, fa presto a diventare piuttosto rocambolesca. Paulette però è davvero disposta a tutto pur di rendere felice sua figlia persino a trasformarsi in una ladra di polli.
Il film d’animazione di Chiara Malta e Sébastien Laudenbach è semplice e delizioso così come la ricetta tanto agognata che ricorda a Linda il piatto cucinatole dal suo papà prima di morire. Gli ingredienti? Tanti colori vivaci e pop, disegni appena schizzati, minimalisti e pennellati, un po’ acquarellati (gli sfondi sono disegnati dall’artista Margaux Duseigneur), musichette francesi piuttosto orecchiabili composte da Clément Ducol, un pizzico di ironia e il giusto ritmo tra camion di cocomeri, camionisti allergici alle piume e guardie piuttosto imbranate che corrono all’impazzata in bicicletta, un pizzico di romanticismo, di malinconia e di poesia e un tocco di novità che non guasta mai.
Diverso per stile e disegni, eppure per la sua delicatezza, al contempo leggera e profonda, si avvicina al superlativo primo lungometraggio d’animazione dello spagnolo Pablo Berger, Il mio amico robot, candidato quest’anno all’Oscar: purtroppo non l’ha vinto, ma i premi non sono mancati (tra cui miglior film d’animazione ai César, il Premio Cristal come miglior film al Festival di Annecy, il riconoscimento per la miglior Sceneggiatura al Festival di Torino 2023).
Così come non sono mancati per questo piccolo (solo per il budget) gioiellino, prodotto da Dolce Vita Films e Miyu Productions e firmato dal duo italo-francese: l’illustratore e professore presso l’Ensad (École Nationale Supérieure des Arts Décoratifs) di Parigi, ovvero Laudenbach, già regista del lungometraggio La Jeune Fille sans mains (2016) e di molti altri corti e l’italiana, da anni residente in Francia, Chiara Malta, prima regista del documentario Armando e la politica (2008), poi rivelatasi a Toronto nel 2019 con Simple Women, ora nota soprattutto per la sua recente serie dramedy Antonia (2024) sull’endometriosi con protagonista Chiara Martegiani (e anche qui il pollame, se la vedrete, non manca: la gallina è ricorrente).
Il pollo in questo caso è un desiderio pretestuoso. Dietro le sue piume e il suo sapore c’è ben altro: in primis il ricordo svanito e sfuggente di un papà che non c’è più. Fatto sta che quest’animale pennuto che non si fa acchiappare (chiamalo scemo) nel corso di un’ora e dieci di film farà qualcosa di miracoloso non solo riuscirà a fare superare il lutto, ma riunirà un’intera comunità sgangherata sotto il segno della libertà. Ed è questo il vero senso di un film che diventa metafora sociale (e perché no politica, attualissimo in questo senso) di una collettività delle case popolari che unita fa la forza. Un’ode alla rivoluzione, al disordine e perfino all’anarchia.