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L'incredibile viaggio della tartaruga
Non sarà il primo on the road animale della storia - prima ancora erano arrivati La marcia dei pinguini e Il popolo migratore - ma il più suggestivo e poetico sì. Dalle spiagge della Florida al Mar dei Caraibi, passando per il periglioso Oceano Atlantico, L'incredibile viaggio della tartaruga è autentico cinema sinfonico - epica la colonna sonora di Henning Lohner - sulla magia della vita e la pervicacia delle sue creature. Un anno di riprese (la regia è del pluripremiato documentarista Nick Stringer, scuola National Geographic), interminabili appostamenti sotto la consulenza di una biologa specializzata, diverse unità subacquee di operatori, uno studio marino ricostruito ad hoc in Florida, special fx e blue screen: il meglio dell'innovazione digitale al servizio della solida tradizione del documentario naturalista, per un'operazione che ha i caratteri dell'impresa, non meno ardua della traversata esistenziale di questi splendidi animali (sono le caretta caretta). Dallo schiudersi delle uova in poi, inizia un'odissea - che si ripete uguale da duecento milioni di anni - da cui si salverà solo una su diecimila. Granchi, meduse, squali e, ovviamente, il predatore dei predatori - l'uomo - minacceranno la sua incolumità nel lungo tragitto ("seguendo il sentiero invisibile tracciato dai suoi avi", ricorda la voce off, che è di Miranda Richardson nella versione originale e di Paola Cortellesi in quella italiana) che la porterà da un capo all'altro dell'oceano, secondo fini e volontà imperscrutabili. Si potrebbe dire, parafrasando l'umanissimo Ungaretti, che la meta è il viaggio. Granchio o gambero, squalo blu o capodoglio, tutti a ubbidire al meccanismo oscuro, a quell'eterno pulsare delle cose per se stesse, contro le fatiche e i nemici, nel viaggio mistico e favoloso della vita, che non ha altri approdi se non la vita stessa. Stringer racconta questo, intuendo l'universale drammaturgia nascosta nella storia della tartaruga che - lenta e minuscola - diventa simbolo della precarietà di ogni essere in lotta contro gli stravolgimenti del mondo (sono sopravvissute perfino all'era glaciale) e i suoi pericoli. Forse perciò questo sommersa avventura della creazione - che non avrebbe sfigurato in concorso - ha il sapore dell'epica e le atmosfere della fantascienza - in fondo cos'è l'abisso se non l'ignoto spazio profondo? -, qualità esaltate da una regia che passa con disinvoltura (bellissime le dissolvenze incrociate) dal grande al piccolo, dal cosmo al plancton, dal teleobiettivo alle microcamera subacquea. Nell'incontenibile e premiato sforzo di restituire l'incanto della vita con le magie del cinema.