Che cosa rappresenta l’amore per Paul Thomas Anderson? Ossessione per il gioco (Sidney), fisicità sfrenata (Boogie Nights – L’altra Hollywood), ricerca di redenzione (Magnolia), difficoltà nel relazionarsi (Ubriaco d’amore), delirio capitalista (Il petroliere), oppressione (The Master), la fine di un’epoca (Vizio di forma), controllo ossessivo dell’altro (Il filo nascosto). Sembra non esserci spazio per un sentimento sano. Il legame tra due esseri umani è un elemento impossibile da coltivare, vittima di un mondo senza pietà. Licorice Pizza rappresenta un cambiamento deciso. L’emozione si trasforma in un abbraccio caldo, una necessità che si insegue nel corso degli anni.

Si parte dal significato del titolo. Negli anni Settanta la Licorice Pizza era una famosa catena di negozi di dischi della California del Sud. E ad Anderson ricorda l’infanzia, i tempi più spensierati, in cui bastava un disco per strappare un sorriso. Dunque la musica è un elemento centrale del film: But You’re Mine di Sonny & Cher, Peace Frog dei Doors, Let Me Roll It di Paul McCartney e l’immancabile Life on Mars? di David Bowie, già protagonista del bellissimo trailer. “C’è vita su Marte?”, si chiedeva Bowie nel 1971. Marte per Anderson è l’America della provincia, quella in cui gli adolescenti muovono i primi passi, e vogliono sentirsi eroi. Marte è la San Fernando Valley del 1973, subito fuori dalla Città degli Angeli. Case tutte uguali, villette che si perdono all’orizzonte.

 

È l’altra Hollywood, non quella di Boogie Nights, ma il luogo in cui si respirano i sogni, senza mai acciuffarli. Jack Holden, con il volto di Sean Penn, sarebbe in realtà William Holden. Lo scatenato Jon Peters di Bradley Cooper è un produttore realmente esistito, che all’epoca davvero usciva con Barbra Streisand. Lucy Doolittle non è altri che Lucille Ball, di cui si è raccontata la storia in A proposito dei Ricardo su Amazon Prime Video.

Qual è la realtà? Qual è la finzione? Anderson si mantiene sul confine. Ambienta il suo film in una dimensione parallela, dove il cinema è qualcosa che si può sfiorare, ma mai davvero tenere per sé. Pensiamo alla bellissima sequenza del Capodanno in Il filo nascosto: un ballo quando ormai filtrano le luci del mattino dalla finestra, gli invitati sono andati via, i palloncini sono a terra. In quell’istante Daniel Day-Lewis e Vicky Krieps sono padroni del loro microcosmo. Il resto si ferma.

 

In Licorice Pizza è come se quel momento ritornasse. I due giovani sono sdraiati su un materasso ad acqua. Le mani si sfiorano, lei ha avuto una serata piena di adrenalina, e si assopisce. Lui vorrebbe toccarla, ma si trattiene. Ancora una volta l’amore si manifesta attraverso piccoli dettagli. La tenera danza di Il filo nascosto, la carezza di Licorice Pizza. Ma questa volta la gioia non è un’utopia.

Anderson realizza il suo lavoro più accorato, ottimista, sentimentale. Non serve una pioggia di rane per ripulire la società dai propri errori (Magnolia), qui bisogna guardarsi negli occhi. È quello che fanno Gary Valentine e Alane Kane al liceo. Lui quindicenne, lei che ne ha venticinque. Lui ancora a scuola, lei che fa l’assistente del fotografo.

Il loro primo incontro è uno scontro, che la macchina da presa accompagna con un lungo piano sequenza. Non a caso i due all’inizio camminano in direzioni diverse. Già nei primi minuti Anderson delinea la personalità dei suoi protagonisti, sembra ragionare sull’impossibilità di un rapporto, su una solitudine perenne a cui si è sempre costretti. Ma come il regista ci ha insegnato in sala: la persona giusta nella vita arriva una volta sola. E lo sapeva bene anche Joaquin Phoenix in Vizio di forma, che nei barlumi di lucidità restava aggrappato all’unica donna per cui avesse mai provato qualcosa.

È per questo che in Licorice Pizza si corre, e anche molto. Perché l’amore è movimento, sofferenza, disperata felicità. Alane corre dietro alla volante della polizia dopo che Gary è stato arrestato. E insieme corrono tenendosi la mano per la libertà ritrovata. Gary corre verso Alane stesa a terra, quando cade dalla moto guidata da Sean Penn. Entrambi si vanno incontro, cercandosi, bramandosi, in una sera in cui tutto deve finalmente essere chiarito. Il cineasta invita a non rimanere statici, a non aver paura di osare, di difendere i propri affetti. Soprattutto durante la pandemia e la crisi del cinema.

Nel romanzo Più lontano ancora Jonathan Franzen scriveva: “Trascorrere una vita intera senza dolore significa non aver mai vissuto”. È per questo che in Licorice Pizza si ride, si piange, senza mai rinunciare alla vita. Non è più tempo di ragionare sul passato. In fondo che cosa resta dell’impero creato da Day-Lewis in Il petroliere? Che cosa resta di quel legame tra Philip Seymour Hoffman e Joaquin Phoenix in The Master? Violenza, rammarico, isolamento. E l’eredità per i posteri? Nessuna, come diceva Mark Wahlberg in Boogie Nights. Prima di andare in scena, cercava di autoconvincersi di essere una stella luminosa dello spettacolo. Anderson in Licorice Pizza rifiuta l’illusione, rifiuta le etichette. La realtà deve essere speranza. Non si può parlare di coming of age, teen movie. Anderson punta all’universalità della vicenda, al dolce ammonimento. Non è un racconto di formazione, non è una storia romantica. È una riflessione sulle esperienze, sulle occasioni perdute e (forse) raggiunte nuovamente, è il malinconico affresco di un rimpianto che può distruggere l’esistenza.

Il futuro brilla in Licorice Pizza, nonostante le bizzarrie che si sviluppano sotto le luci dei riflettori. La magia è nell’imperfezione, suggerisce Anderson, bisogna saperla cogliere. Impressionante la prova dei due protagonisti: l’esordiente, ma già cantante affermata negli States, Alana Haim, e Cooper Hoffman, il figlio di Philip Seymour Hoffman. Raggiungerà le vette del padre? È presto per dirlo, ma di sicuro Licorice Pizza si candida per essere il film dell’anno, anche se il 2022 è appena iniziato.