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Lucas Bravo & Léa Luce Busato in Libre
Bruno Sulak è stato un mitico fuorilegge, che imperversava nella Francia degli anni Settanta e Ottanta: grande rapinatore, prima di supermercati e poi di banche e gioiellerie, non ha mai usato le armi sottraendo la merce con “gentilezza”, sino a guadagnarsi sui giornali il soprannome di Arsenio Lupin. Un vero artista della rapina, Sulak, in grado di organizzarla al millimetro, come un orologio, senza mai perdere un secondo e rendendosi quasi inafferrabile. Quasi, perché fu arrestato varie volte ma riusciva costantemente a scappare, attraverso evasioni intelligenti e spericolate. Questo Robin Hood post-moderno si riversa sullo schermo in Libre, il film di Mélanie Laurent alla Festa del Cinema di Roma e sulla piattaforma Amazon Prime dal 1° novembre. E, soprattutto, Bruno era un uomo molto bello: giovane – le scorribande si racchiudono prima dei trent’anni –, vantava un fascino e ipnotico e un volto magnifico, come l’attore Lucas Bravo che lo interpreta; quella stessa bellezza che avvolge la sua amata Annie, incarnata in Léa Luce Busato. Emblematica la sequenza delle signore chiamate all’identikit, dopo il colpo al supermarket, che si perdono a contemplare il fascino del sospettato…
La regista porta sullo schermo una pagina di crime, ancora poco conosciuta fuori dal Paese, con l’obiettivo evidente di espanderla in streaming perché – lo sa bene – è una storia che può funzionare in ogni tempo e luogo. Incipit: base musicale, ritmo sincopato ed ecco la rapina dei “belli”, il ladro galante che compie il suo dovere e la complice, autista provetta, lo aspetta fuori e guida l’auto che si volatilizza. Assieme a loro c’è un altro uomo, il nero detto Drago, e sodali più o meno affidabili che si incontrano lungo il cammino. Contro di loro, invece, c’è il poliziotto George Moréas sostenuto da un gigantesco Yvan Attal: uno sbirro che capisce il criminale, gli si avvicina, finisce ossessionato da lui ma gli sta perfino simpatico, deve arrestarlo perché è il suo dovere. Non mancherà però di lanciargli un monito finale… La guardia e la canaglia si prendono e lasciano, si incontrano in modo estemporaneo come fossero novelli De Niro e Pacino, addirittura a colazione insieme. “Sei una brava persona”, afferma il poliziotto, perché tutto sommato forse è davvero così: Sulak non ha mai fatto male a nessuno, rapinava per la bellezza del gesto, per la cosa in sé, senza particolare attaccamento ai soldi né passione per il crimine. Nella sequenza più esplicita sentiamo al notiziario la Bce che alza i tassi d’interesse, rendendo difficili i prestiti ai cittadini, Bruno lecitamente si interroga: “E saremmo noi i ladri?”.
Un film anarchico, che Laurent gira con spiccato senso del ritmo e – perché no – un’idea di divertimento popolare: colpi, fughe, evasioni, inseguimenti e scene d’amore, che si consumano tra gli splendidi protagonisti. Anche l’estetica del duo attoriale Bravo-Busato, ovviamente, è un modo per “ricattare” il pubblico e tirarlo dalla sua parte, ma del resto non è forse il cinema stesso un grande ricatto? L’importante è crederci e caderci volentieri. È così che l’empatia per il super ladro scatta in modo sfacciato, si fa il tifo per lui, d’altronde l’astuto Sulak non preme mai il grilletto, al contrario della polizia deviata nell’agghiacciante resa dei conti finale. Sano cinema commerciale che funziona a dovere, avvince e coinvolge. Che poi siano tutti più o meno stereotipi sul grande criminale, è vero ma non sposta i termini della questione. Del resto già lo suggeriva l’Orchestra Castellina-Pasi, nella prima sigla italiana del noto cartone animato: “A Lupin il mio cuore darò”…