I gemelli Zoran e Ludovic Boukherma sono nati nel 1992, l’anno in cui inizia Leurs enfants après eux, tratto dal romanzo di Nicolas Mathieu, Prix Goncourt nel 2018 (edito in Italia da Marsilio con il titolo E i figli dopo di loro), in Concorso a Venezia 81. È una coincidenza ma anche no: forse per raccontare una storia che attraversa l’ultimo decennio del Novecento serviva qualcuno nato in quel momento e non chi quel tempo l’ha vissuto da dentro, come appunto Mathieu che, classe 1978, in quell’anno era quattordicenne, stessa età del protagonista del romanzo.

Non si tratta solo di distacco anagrafico ma anche di riposizionamento nell’immaginario: gli anni Novanta dei Boukherma sono consapevolmente di seconda mano, una rimasticatura a partire dai feticci più logori dell’epoca, dal repertorio musicale meno ricercato, dai riferimenti socioculturale più celebri. Ma Leurs enfants après eux non è esclusivamente la sua confezione. Che è viscerale, infiammato, perfino ridondante, d’accordo, un racconto illustrato dai colori pop, un mélo grossier che non si tira indietro di fronte agli eccessi e mette da parte la virtù della sottrazione (i registi arrivano dal genere, infatti).

Ma è anche – soprattutto? – lo spaccato vivo e crudo di un mondo che sparisce, la Francia rurale del Nordovest alle prese con le conseguenze dalla deindustrializzazione, simboleggiata da una fabbrica dismessa che domina il paesaggio e si riconfigura ogni volta alla ricerca di un nuovo ruolo all’interno del tessuto urbano e dunque umano.

Una Francia invisibile che oggi, se si recasse alle urne, sosterrebbe i nazionalisti, un po’ per rabbia e un po’ per nostalgia, che i registi raccontano con i cliché dell’indie rurale americano. Dove i genitori fanno i conti con il disincanto che sconfina nella disperazione, i matrimoni sbagliati e i futuri ipotecati, e i figli cercano di ammazzare la noia cercando un posto nello sfacelo.

Racconto di quattro estati, di pomeriggi al fiume, di furti e feste, Leurs enfants après eux è il coming of age di Anthony, che nell’agosto 1992 scopre il primo amore, l’unico che vale (ovviamente impossibile: i divari sociali hanno sempre un peso), perde l’innocenza o quel che resta e abbandona l’infanzia perché la vita è quella che è. Ma seguiamo anche il racconto di formazione di Hacine, che ruba la motocicletta a Anthony (che a sua volta l’ha presa di nascosto al padre ubriacone) innescando il disastro. La storia prosegue nel 1994, nel 1996 e nel 1998, le cose cambiano, i destini si incrociano, il mondo impone scelte.

Paul Kircher è rising star certificata, Angélina Woreth brilla di luce propria, Gilles Lellouche spiazza e sconquassa. Qualche cedimento nella prima parte, ma almeno due momenti altissimi: la strepitosa festa del 14 luglio in cui tutti i personaggi si ritrovano sotto i fuochi d’artificio, mentre una coppia danza il suo unico ballo e un uomo guarda un fallimento trasformarsi in capolavoro; la semifinale dei Mondiali in cui la gioia collettiva diventa occasione di ripartenza personale.