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L'esplosivo piano di Bazil
Se agito nello shaker i miei cocktail preferiti ne ottengo uno più buono. Deve aver pensato così Jean-Pierre Jeunet quando ha concepito L'esplosivo piano di Bazil. Fatto sta che l'intenzione di realizzare un distillato del suo miglior cinema - unire la vena dissacratoria di Delicatessen alla malinconica leggerezza di Amélie - si è risolta in un miscuglio insapore, somma zero di satira e poesia, omaggi e riciclaggi. Protagonista un videotecaro (Dany Boon) che si muove come Chaplin, esiste come Keaton e sogna il Grande sonno (non quello dei narcolettici, ma il classico con Bogart e Bacall, da cui Jeunet ruba pure lo score di Max Steiner). Non avvezzo ai colpi di testa, ne riceverà uno dritto in fronte, il proiettile della discordia da cui partirà, complice una banda di diseredati, la riscossa sperata. Per quella di Jeunet bisogna invece attendere: il suo cinema, 6 anni dopo Una lunga domenica di passioni, è ancora sotto formalina. Squilibrio e inventiva, barocco e design sono sempre lì, ma come espressioni di un caro estinto, imbalsamate e insincere. Estemporaneo, riepilogativo, e nel complesso soporifero, Bazil è nella filmografia di Jeunet il depliant e il Bignami. Un faticoso ripasso e il colpo rimasto in canna.