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Lee MIller © Kimberley French - Sky UK Ltd
Nel 1977 un giovane giornalista intervista Lee Miller, ormai anziana. Una serie di flashback raccontano le vicende più importanti della sua vita, avvenute fra la metà degli anni Trenta e la fine della Seconda guerra mondiale.
Ellen Kuras dirige un film biografico ben fatto ma convenzionale perché incapace di discostarsi dalla struttura ormai consolidata di questo genere.
Gli elementi tipici del biopic ci sono tutti: la presenza di una grande e affermata attrice protagonista (Kate Winslet) in grado di fornire un’ottima performance recitativa, gli andirivieni temporali su cui è costruito il racconto (una cornice narrativa che la ritrae da vecchia mentre viene intervistata contiene i vari flashback sul suo passato che, inoltre, si susseguono in senso cronologico), oltre ad una storia divisa fra le due classiche sotto-trame, costituite dalla storia d’amore con il futuro marito e dalla carriera di fotografa e giornalista in nome della quale combatte contro gli impedimenti imposti alle donne dalla società maschilista dell’epoca.
Non manca nemmeno la parabola rise & fall, cioè il racconto che alterna una prima parte composta dalla crescita professionale e dalle vittorie della protagonista ad una seconda in cui le sue problematiche esistenziali prendono il sopravvento. Ellen Kuras riesce tuttavia a inserire piccole variazioni in questa struttura ormai dozzinale: la vita della fotografa non viene raccontata nella sua interezza ma si concentra su dieci anni che si concludono con la fine del secondo conflitto mondiale, coincidenti con il periodo di massima creatività lavorativa di Lee Miller.
La seconda parte della parabola risulta quindi posticcia, dato che viene realizzata sommando nei minuti finali del film le principali problematiche della vita della grande fotografa, fra cui il ricordo delle violenze subite da bambina, la depressione determinata dal disturbo post-traumatico da stress e la relazione irrisolta con il figlio.


Lee Miller mostra inoltre un interessante rapporto fra le forme mediali contenute nel racconto, la fotografia e il cinema, e lo declina in tre modalità differenti. I veri scatti della fotoreporter vengono mostrati nel film solo marginalmente, essendo esibiti in modo fugace e di sbieco, oppure vengono inquadrati diversi negativi accatastati gli uni accanto agli altri così da impedire uno sguardo contemplativo su di essi. In secondo luogo, le fotografie della protagonista vengono ricreate nel film in modo filologico: mutuando da esse sia il taglio dell’inquadratura sia l’illuminazione, la regista dà luogo a dei cloni degli scatti più famosi della Miller, come testimoniato dai titoli di coda, che accostano una delle sue immagini più note, quella che la ritrae nella vasca da bagno di Hitler, alla copia del film.
La terza modalità consiste nel racconto delle vicende che hanno portato alla creazione delle sue fotografie maggiormente conosciute, realizzando così un controcampo di queste immagini, ritraente l’artista mentre ne cura la composizione e la luce.
Lee Miller è quindi un film piacevole, i cui punti di forza sono l’ottima interpretazione di Kate Winslet e la riflessione riguardante il rapporto fra cinema e immagini fotografiche. Si tratta di un buon prodotto artigianale, che pecca tuttavia di eccessiva aderenza alle norme convenzionali del genere a cui appartiene.