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Il palloncino rosso
Alla faccia di chi sostiene che il cinema asiatico è morto. Dopo il ritorno di Wong Kar-wai con My Blueberry Nights anche il maestro Hou Hsiao-hsien si ripresenta a Cannes due anni dopo Three times, capolavoro dimenticato troppo in fretta. Più che di cinematografie defunte, quindi, dovremmo parlare di rigenerazione che prende il via dall'immersione di cinepresa e troupe lontani dai paesi produttivi d'origine. Per Le voyage du ballon rouge (liberamente ispirato al film del 1956 diretto da Albert Lemorisse, Le ballon rouge) Hou ha deciso di trasferirsi per le strade di Parigi e, con disincanto e levità, raccontare in calibrati e ariosi piani sequenza la vicenda del settenne Simon sulla cui testa fluttua un palloncino rosso, di sua mamma burattinaia Suzanne tutta presa dalla preparazione di un nuovo spettacolo e la cinese Song Fang, giovane baby-sitter di Simon, che studia cinema a Parigi. Tanti gli spunti all'interno di quello che sembra un film minore nel repertorio di Hou: dalla briglia sciolta lasciata ad attori e comparse per riempire di senso ogni sequenza (mai montate al loro interno, semmai staccate da esigui scavalcamenti di campo), alla poesia dell'artificio cinematografico tout-court (il trucco del palloncino che viene svelato ben in vista), fino al doppio occhio di videocamera (Song filma Simon con una Sony portatile e diventa uno sdoppiamento dello sguardo di Hou) e ad una complessa elaborazione del tempo di un racconto semplicissimo che non diventa mai greve e stancante. Simon esplora con Song il mondo delle verità quotidiane, filtrandole attraverso l'irrequietezza e la sbadataggine di mamma Suzanne (una Binoche bionda e leopardata da balera), i primi accordi di un pianoforte e i rumorosi software della Playstation. Come chiede la maestra ai bambini in visita al museo sul finire del film: il dipinto/film è triste o felice? Per Hou la soluzione sta nella traiettoria dello sguardo di Simon che esce dalle vetrate per seguire il palloncino rosso e volare sui tetti di Parigi. In poche parole, signore e signori: la magia del cinemà.