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Le mele di Adamo
Riuscitissimo melodramma al contrario su peccato e redenzione. Candidato dalla Danimarca all'Oscar come miglior film straniero, Le mele di Adamo si fa beffe del cliché, rileggendo la parabola in chiave grottesca e politicamente molto scorretta. A confermare la parentela con ironia e dissacrante sarcasmo dei dogmi alla von Trier sono anche biografia di regista e protagonista: il primo, Anders Thomas Jensen, ha sceneggiato Mifune; il secondo, Ulrich Thomsen, era il fratello dello straordinario Festen. Ancora più cupo e stralunato di allora, questa volta è l'Adam del titolo: naziskin minaccioso (e apparentemente intrattabile), inviato a redimersi nella piccola comunità di padre Ivan. Uno sognatore e irrimediabilmente ottimista, l'altro manesco e taciturno: nell'abisso fra questi opposti poli, le premesse per gli imprevedibili sviluppi della vicenda. Singolare viatico per la redenzione di Adam, stabilisce il pastore, sarà il confezionamento di una torta di mele. Una missione che si rivela quasi impossibile e costellata da un crescendo grottesco e paradossale. La situazione della comunità precipita, ma il serafico Ivan non fa una piega: alle follie degli altri ospiti, un cleptomane obeso e disadattato e un immigrato afgano ossessionato dagli americani, risponde con una fiducia sempre più incrollabile e paradossale. Nel pirotecnico finale, il più sano si rivela incredibilmente proprio Ivan. La redenzione è compita. Il film straordinario.