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Le linci selvagge
Natura, montagna, libertà, corsa di una lince sulla neve che lascia un’impronta. Si vede il bianco, il verde, il marrone, si sentono il cinguettio degli uccelli e i richiami dei caprioli e dei camosci. Siamo nel Giura, in Svizzera, luogo in cui, il fotografo naturalista e regista esordiente Laurent Geslin, si è immerso per nove anni.
Il film documentario Le linci selvagge, in sala l’11, il 12 e il 13 di novembre e distribuito da Wanted, racconta la realizzazione del suo sogno da bambino, i suoi timori, le sue paure, il suo percorso di vita nell’affiancarsi a una specie che cinquant’anni fa è stata reintrodotta in questo luogo per evitare l’estinzione: la lince euroasiatica.
Un animale discreto, elegante, ma anche spietato e potente quando diventa predatore, ruolo fondamentale per tenere sotto controllo gli erbivori, perché in natura tutto ha un suo inizio, una sua evoluzione e una sua fine, tutto è circolare e tutto ha un significato e una ragione.
Qual è la ragione del comportamento umano, invece? Perché l’essere umano non riesce ad affrontare la frustrazione e a stare nei sentimenti? Perché vuole controllare, modificare, adattare alle sue esigenze il mondo e velocizzarlo, senza cercare di ascoltarlo e capirlo? Le linci sono veloci, istintive, ma anche calme, silenziose, pazienti e attente perché “la natura non è solo uno scenario meraviglioso popolato da adorabili creature, la posta in gioco della vita e della morte è ovunque”. Queste specie sono resilienti, pazienti e fiduciose, solidali quando il nemico è in agguato. Gli uomini possono dire altrimenti?
Le linci selvagge insegna a rivedere le proprie priorità, a rallentare, propone una narrazione lenta, rilassata, profonda, mai superficiale, mai colma di luoghi comuni, mai di frase fatte, perché, se si sa prestare il giusto ascolto, i tempi sono quelli autentici, biologici. Le inquadrature e i primi piani delle linci sono impressionanti ed efficaci perché colgono le “debolezze” e le incertezze di questi esseri viventi senza sconvolgere le loro esistenze con uno sguardo presente, non soffocante o limitante. Guardare i primi passi incerti, instabili dei cuccioli di lince ci ricorda come l’equilibrio tra ambiente e uomo, se non preservato adeguatamente, sia precario e instabile, come la vita. Quella vita che l’uomo, i bracconieri, si sentono in dovere di togliere a loro piacimento a questi esemplari, cacciandoli con mezzi, che di naturale hanno ben poco.
Gli scienziati addormentano, catturano le femmine di lince, dopo che si sono adattate ed abituate al luogo per far sì che ripopolino altri boschi. Perché ci sentiamo in diritto di far estinguere le specie? Di decidere di ripopolare le foreste con le nostre modalità giuste o sbagliate che siano, solo quando ci rendiamo conto che la situazione ci è ormai sfuggita di mano?
Laurent Geslin riesce a raccontare la storia di una famiglia felina, con le sue gioie, i suoi dolori, riportando alla luce l’amore materno universale che rimprovera o sprona i piccoli allo scopo di farli diventare autonomi ed indipendenti. Il regista ci insegna che ogni animale ha una sua personalità, che perderne uno di vista per sette, otto mesi è la norma e che, a volte, sembra di ricercare l’invisibile. Quante volte noi uomini abbiamo ricercato l’invisibile, quante volte ci siamo impuntati sulle nostre convinzioni, senza metterle in discussione? Quante volte abbiamo perso rapporti perché non abbiamo saputo lasciare andare? E quante volte non abbiamo rispettato la personalità degli individui a noi cari?
Le immagini raccontano, fanno riflettere, esaltano una realtà che ancora si può salvare, ricordano l’importanza delle specie, della biodiversità. Abbiamo l’obbligo di lasciare impronte sulla neve, non sovrapponendole a quelle della lince, ma affiancandole con pazienza e fiducia, rispettando i suoi tempi e i nostri che sembriamo avere un po' perso, costruendo strade che non sbarrino percorsi, ma costruiscano l’avvenire.