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Un tredicenne pronto a uccidere la propria insegnante, in nome del “vero Islam”. Belgio, oggi, Ahmed (Idir Ben Addi) diventa più realista del re, ovvero l’imam di una moschea fondamentalista Youssouf (Othmane Moumen), e mette nel mirino la sua professoressa Inès (Myriem Akheddiou): riusciranno la madre, la sorella Louise, il giudice, lo psicologo, la fattrice che se ne innamora a farlo desistere dal suo proposito omicida, ovvero a penetrare e bonificare le ragioni della sua radicalizzazione islamica?
In Concorso a Cannes 72, è Le jeune Ahmed dei fratelli registi e sceneggiatori belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, vincitori della Palma due volte (Rosetta, 1999; L’enfant, 2005). Non è questo l’anno per il tris, giacché il film solleva soprattutto una domanda: fratelli, dove siete?
Programmatico e schematico, semplicistico e stolido, vanifica l’interessante punto di partenza, l’osservazione di come una personalità non formata possa venire assorbita da un’idea-mondo, invasiva, totalizzante, massimalista: succede ad Ahmed, e l’innesto, l’inception avrà conseguenze devastanti e irreversibili.
Certo, il tema è tragicamente attuale, il consueto tallonamento dei Dardenne potrebbe essere analiticamente valido, e la loro bravura nel dirigere i giovani è comprovata, eppure, Le jeune Ahmed si fa impadronire dalla stessa rozzezza che anima l’adolescente jihadista, e non che “giochi a specchio” intenzionalmente.
C’è una palese difficoltà di sintesi di e sintonizzazione su il fondamentalismo, da cui viene una storia tagliata con l’accetta, a fondo cieco e scimunita come il ragazzino che inquadra: proprio così, si rischia di derubricare a problema di crescita, esternalità negativa di un’abbacinante immaturità, se non che il finale fa di peggio, eccome.
Non sveliamo niente, tranquilli, eccetto una cosa: non è riuscito Le jeune Ahmed. E dopo il già insoddisfacente La ragazza senza nome (2016) abbiamo una prova: i Dardenne stentano, eccome.