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Le Choix de Joseph Cross
E se il costruttore fosse un demolitore, per giunta della sua stessa vita? Succede a Joseph Cross, incarnato dal solito formidabile Vincent Lindon, ne Le choix de Joseph Cross, il remake di Locke scritto e diretto da Steven Knight nel 2013 e interpretato da Tom Hardy.
Dirige Gilles Bourdos, adatta Michel Spinosa, ed ecco un uomo solido, forte, affidabile, e ancor più votato a prendersi le proprie responsabilità, a differenza del padre che vorrebbe disseppellire per rinfacciargli la propria vigliacca inadempienza. Succede, proverbialmente, tutto in una notte, muovendo repentinamente dal cantiere che attende la colata di cemento più copiosa del decennio alla sala che partorirà un altro destino: il capo, il sottoposto, la moglie, i figli, l’altra e gli altri, tutti al telefono della Reanult – Hardy aveva un X3, anche nei remake i franzosi son sciovinisti – di Joseph, che non parte per la tangente, ma per coscienza.
Il thriller esistenziale è qui meno claustrofobico dell’originale, gli interlocutori meno di servizio – la moglie è super – e c’è un’accentazione, un’accentuazione di senso interessante, tanto reazionaria per lo spettatore quanto rivoluzionaria per il personaggio: l’altra appellata “fragile” è forse labile, al netto dell’occasione e malgrado l’età, e il carico, l’ingombro fa riflettere noi maschietti sull’adulterio di una sera, alla faccia del #MeToo.
Era il caso di fare il remake, con Knight produttore esecutivo? Male non fa, Lindon è appunto bravo, la partitura più collettiva, la scelta messa nel titolo, l’evenienza e l’opportunità, al netto della copia, persistente, persino suggestiva.