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Una delle ossessioni dei personaggi di Lasciali parlare (disponibile in esclusiva digitale su CHILI) è il tradimento. Roberta (Candice Bergen, feroce e travolgente), un’aspirante gold digger non di primo pelo ancora costretta a lavorare ancora come commessa di lingerie, è convinta che una compagna d’università, l’affermata scrittrice in crisi Alice (Meryl Streep, solito genio), si sia ispirata a lei per il personaggio principale del suo romanzo più celebre, Tu sempre/tu mai.
Non solo: Roberta considera quel romanzo una disgrazia e dunque di riflesso reputa Alice responsabile di ogni suo fallimento. Così, dovendosi recare a Londra via mare (ha paura dell’aereo, ma c’è anche dell’altro) per ricevere un premio, la scrittrice decide di portare con sé Roberta e la docile e remissiva Susan (Dianne Wiest, sempre un piacere), altra amica di vecchia data con cui non ha coltivato il rapporto perché, insomma, non si parla della vita delle amiche per vendere romanzi.
Con loro c’è il nipote di Alice, Tyler (Lucas Hedges, bravissimo), che a bordo della Queen Mary conosce certa Karen (Gemma Chen, in parte), l’agente della scrittrice unitasi al viaggio di nascosto, sperando di conoscere dettagli sul nuovo libro di Alice. Un altro tradimento, anche doppio. Ma i giovani non sono centrali, sono funzioni e spettatori: il loro ruolo è quello di osservare le schermaglie delle signore ed assisterle in quello che si rivela un viaggio inaspettato.
È naturalmente un film sul tempo e le sue ferite mai rimarginate, Lasciali parlare, filtrato attraverso lo sguardo di una Streep sospesa tra nostalgia e rimpianto, che naviga apparentemente smarrita tra terra e cielo. Ed è un film leggerissimo, sì per il ritmo (110 minuti senza sbavature) ma soprattutto per la rapidità delle riprese (10 giorni!), il set senza luci artificiali, le videocamere digitali di ultima generazione, la sceneggiatura di Deborah Eisenberg (veterana delle short stories) come canovaccio per lasciare spazio all’improvvisazione degli attori.
Solo Steven Soderbergh poteva trovare la quadra di un film così felicemente libero e solido, confezione hollywoodiana (classica) e budget indie, lo star system (le protagoniste scintillano) e lo spirito corsaro di un autore che da trent’anni s’impegna a ripensare, reinventare, sfidare il cinema americano, le sue forme e i suoi generi.
Ogni film di Soderbergh è un film sul cinema, ma Lasciali parlare lo è in maniera esaltante e perfino commovente. Un po’ perché scegliendo l’improvvisazione mette in scena il mestiere della recitazione come chiave d’accesso alla comprensione del reale. E un po’ perché offre la possibilità di riformulare nel 2020 un film del passato, un gioco delle parti che crede nella trasparenza come unica regola, nel tradimento della realtà quale privilegiata modalità di traduzione.
Sulle onde dell’Oceano, la resa dei conti è lo spettacolo della parola, un trionfo di primi piani che magnifica le performance attoriali (vale la pena sottolineare ancora la prova di Bergen, maiuscola nel dosare faccette maliziose e occhiate sconfortate). E mentre danza sul ciglio della trappola del film per signore spingendosi verso la commedia umana e il dramma intimista, Lasciali parlare è un’altra risposta alla domanda che muove tutta l’opera di Soderbergh: di cosa parliamo quando parliamo di cinema.