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Las analfabetas
Ximena è una donna di mezza età, la solitudine per compagna. Jackeline è una giovane insegnante senza lavoro, non meno sola e frustrata. L'una nasconde un segreto, è analfabeta. L'altra avrebbe gli strumenti per costruirsi una vita migliore, ma è incapace di usarli. Entrambe hanno, seppure in maniera diversa, paura di affrontare i propri personali fantasmi. Un incontro inevitabile, il loro. O meglio un match di pugilato dove invece che con i pugni le due avversarie si affrontano a colpi di parole. Scambi verbali tumultuosi, dall'esito incerto, che non lasciano sul campo né vinti né vincitori. Le due donne combattono alla pari, per nulla disposte a perdere una battaglia che ha come posta il disvelamento dei sentimenti più veri e profondi. Certo, in ballo ci sono anche verità troppo a lungo taciute che chiedono di venire alla luce, ma il vero nodo da sciogliere riguarda l'esistenza stessa delle due protagoniste. Che del resto non aspettano altro che di uscire dall'isolamento affettivo.
Tipico esempio di cinema teatrale, non a caso ispirato a una pièce portata in palcoscenico con successo e recitata dalle stesse due attrici Paulína Garcia e Valentina Muhr, Las Analfabetas avvolge in virtù del suo seguire una rotta facilmente intuibile e non per questo meno attraente. A tenere desta l'attenzione è il percorso di analisi delle psicologie. Una indagine attenta meno alle azioni e più agli scarti emotivi che si dipana in una sorta di thriller esistenziale, in cui la colpa da espiare è quella di non lasciarsi andare a vivere. Moisès Sepùlveda non si concede guizzi registici, preferisce di gran lunga incollarsi ai volti e ai corpi di due attrici che sentono come non mai storia e dialoghi sulla propria pelle. Garcia, la dura, ha appena vinto l'Orso per la migliore interpretazione a Berlino con Gloria; Muhr la fronteggia senza timori. Difficile immaginare il film senza di loro.