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L'arco
Fotogramma emotivo: un uomo di sessant'anni e una ragazzina sedicenne su una barca in mezzo al mare. Un dittico segnato da una palese alterità anagrafica, e non solo. Il vecchio si occupa della ragazza, accolta a bordo dieci anni prima, e attende il suo diciassettesimo compleanno per sposarla. La protegge dalle avances moleste dei pescatori che salgono sulla barca e la utilizza per predire il futuro con lo stesso strumento: un arco. Un arco dalle molte declinazioni: la corda si tende per scagliare dardi o emettere note struggenti che si perdono sotto il cielo stellato. Ma questo hortus conclusus sta per essere sconvolto. Da un altro amore. L'amore di un giovane studente intenzionato ad affrancare la ragazza dalla coercizione affettiva del vecchio. Su questo impianto relazionale Kim Ki-duk affastella metafore senza temere l'ingolfamento drammaturgico e deposita immagini estatiche e fragili. Caduche perché in disperata lotta contro il tempo: un tempo che non può essere mistificato dall'uomo, come tenta di fare il vecchio desideroso di sincronizzare il proprio flash-forward emotivo alla calma piatta della scansione temporale. E Kim Ki-duk concede l'onore delle armi (l'arco) a questo titano del cuore. Per farlo, perde in lucidità e sacrifica il consueto procedere per sottrazione. Meno evocativo del solito, ma più empatico. Alla casa vuota sostituisce una barca satura. E sale a bordo.