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Land of the Dead
L'horror come metafora politico-sociale, che attualizza le allegorie apocalittiche di Edgar Allan Poe. George A.Romero, il maestro dello "zombie-movie", aggiunge un nuovo capitolo - La terra dei morti viventi - alla precedente trilogia. E si riconferma autore appassionato non del macabro fine a se stesso, ma della denuncia dei veri "orrori" del mondo globalizzato attraverso il filtro dello spavento e dello "splatter" d'azione. Qui Romero fa apertamente politica e sociologia. Non è difficile rileggere in senso "no-global" la storia dei morti-viventi (i rifiuti, le masse diseredate dall'élite dell'occidente opulento) che si organizzano per dare l'assalto al grattacielo dei ricchi sopravvissuti, illusi in una torre d'avorio. Mentre gli altri umani, nei bassifondi della metropoli-fortezza, tirano avanti fra droghe e vizi. Lo scenario è da film "post-atomico, in cui una catastrofe ha lasciato distruzione e lotta per la sopravvivenza. I cadaveri ambulanti si vendicano e si cibano dei vivi (il grandguignol si vede, ma non troppo). Una scena fortemente polemica e allusiva rivela che gli zombie sono usati come bersagli, carne terzomondista da macello per il sadico sport dei "civili" privilegiati. Il geniale humor nero/sociale di Romero è affidato all'espressivo zombie-benzinaio, che capeggia la rivolta. Quando cosparge di benzina l'auto del capo dell'élite finanziaria (per dargli fuoco), si ricorda il gesto di lavoro di quando era vivo, ritorcendolo contro l'uomo di potere, che disprezza gli zombie: "Voi non avete nessun diritto!". Il personaggio di Dennis Hopper, con la presunzione di trincerarsi nell'agio ignorando la putrefazione che lo assedia, riecheggia il principe Prospero del racconto di Poe La maschera della Morte Rossa. Anche lì il potente di turno si chiude nel suo castello tra feste e vizi, mentre fuori dilaga la Peste. La quale, da ospite non invitata, penetra nel rifugio dei vivi contagiandoli a morte. Proprio come gli zombie del film, che fanno strage di coloro che gozzovigliano impunemente, censurando il dolore dei dannati della terra