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L'amour fou
Non è il biopic di Yves Saint Laurent, non è la rievocazione del compagno Pierre Bergé: L'amour fou di Pierre Thoretton è molto di più, e insieme molto di meno. Potremmo definirlo, un documentario di architettura, con le geometrie variabili e sentimentali di 50 anni d'amore, quello "pazzo" di Yves e Pierre.
Architettura, perché il doc dell'artista-regista (vi ricordate il mediometraggio Entre Chien et Loup?) si concentra suoi luoghi "dell'anima", dai giardini Majorelle di Marrakech al castello Gabriel in Normandia, loci amoeni ma non asfittici di un passo a due tra l'arte e la creazione, con Yves couturier e Pierre tuttofare.
Se il primo crea con gli abiti il potere e la consapevolezza della donna moderna (dopo il '68 è lui, mago dell'alta moda, ad aprire al pret-a-porter), il secondo segue da vicino, con empatia e, quando serve (il tunnel di droga e alcool in cui Yves precipita a un certo punto), distanza: stanno insieme dal '58 e dieci lustri più tardi, dopo la morte del compagno, Pierre si separa dalla loro collezione d'arte (Picasso, Mondrian, etc.). Perché? Perché era il frutto, il mondo stesso, di un mondo a due che non è più: il loro hortus conclusus se ne'è andato per sempre, allora la collezione, come un figlio maggiorenne, deve camminare da sola, fuori, per portare altrove i semi della bellezza e della creatività che l'hanno partorita.
Da un simile approccio laterale, obliquo, esce di YSL un ritratto non asservito alla logica biografica e alla sua storia su e giù dalla passerella: l'uomo e il suo mondo, in campo medio e controcampo privato (Pierre), piuttosto che l'icona, da santificare con le pailettes dell'agiografia.
Dall'Extra del festival di Roma, Bim lo porterà in sala, forse già a dicembre: se la vostra moda è il cinema, non perdetelo.