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L'amore che resta
Non è l'ennesima variazione sui temi abituali dell'adolescenza. Ancora una volta, Gus Van Sant mette in scena due sedicenni (Hopper e la Wasikowska), ma cambia decisamente registro. In L'amore che resta (Restless) lo sguardo si fa più intimo, meno distaccato. Il grandangolo che includeva nei precedenti la descrizione entomologica dell'ambiente circostante, cede il passo ad un focale che stringe sull'intimità dei due ragazzi diversamente provati dall'esperienza della morte.
Lui ha perso la voglia di vivere, dopo esser stato in coma tre mesi per l'incidente d'auto che ha ucciso i suoi genitori. A lei restano tre mesi di vita, per il cancro che le divora il cervello. S'incontrano per caso, s'innamorano e si aiutano a vicenda. Lei gli trasmette la sua grande passione per la vita e gli uccelli, lui si offre di aiutarla ad affrontare il grande passo.
Fra una discreta citazione di Shakespeare (Romeo e Giulietta) e una di Truffaut (Jules e Jim), Van Sant ci conduce all'inevitabile conclusione. Un piccolo, grande film che riconcilia col cinema, di una leggerezza ammirevole e appagante. Coraggiosamente sentimentale e commovente. E, come se non bastasse, sostenuto da una colonna sonora (Danny Elfman) di rara efficacia e sobrietà emotiva.