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Gabriele Agrio in L'amore buio
Ciro (Gabriele Agrio) ha 16 anni. Insieme a tre coetanei, dopo una giornata di mare, violenta l'adolescente Irene (Irene De Angelis), ragazza della Napoli bene. Il giorno dopo si costituisce, facendo i nomi degli altri componenti del branco. Il suo mondo, per i successivi due anni, è circoscritto dalle sbarre del carcere di Nisida, così lontano e al tempo stesso così vicino alla prigione ovattata in cui finirà per rinchiudersi Irene.
La doppia faccia della luce, "febbrile e bruciata, estrema" per quello che riguarda Ciro, "pallida e fredda, quasi elegante" per raccontare Irene e la sua vita: è anche attraverso un ragionamento estetico così marcato e al tempo stesso ricco di sfumature che il nuovo film di Antonio Capuano - presentato al Lido alle Giornate degli Autori, in sala dal 3 settembre con Fandango - segna l'ennesimo punto a favore di un regista tra i più dotati dell'ultimo ventennio italiano: non nuovo al racconto della città di Napoli e dei suoi più giovani abitanti (Pianese Nunzio, 14 anni a maggio, Polvere di Napoli e La guerra di Mario su tutti), Capuano confeziona con L'amore buio (titolo bellissimo) un altro suggestivo, poetico e doloroso ritratto di due adolescenti, separati e distanti per estrazione sociale e abitudini (i due protagonisti, Agrio e De Angelis, sono stati proprio per questo cercati da Capuano uno nelle scuole di periferia, l'altra nei licei della città), irrimediabilmente attratti come solo gli opposti sanno essere, finendo per non incontrarsi mai. Ma capaci di raggiungersi, solo con uno sguardo, dai cancelli del carcere di Nisida alle strade di San Francisco, dove Irene si è trasferita al seguito del futuro marito, per l'unico finale possibile di un film che, allontanandosi, ritrovandosi e perdendosi insieme ai suoi personaggi, mantiene comunque caldo lo sguardo sul cuore di ognuno di loro. E su tutti i grandi attori di "contorno", dai genitori della ragazza, Luisa Ranieri e Corso Salani (alla sua ultima interpretazione prima della tragica scomparsa), a Fabrizio Gifuni e Valeria Golino (psicologa del carcere), brava e misurata come sempre, coraggiosa nel lasciarsi inquadrare con il viso poco curato (sopracciglia foltissime, peluria sulle labbra) per uno dei momenti più intensi del racconto, quando incontra per la prima volta Ciro e la sua idea di "bruttezza".