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Lamborghini: The Man Behind the Legend (credits: Francesco Marino)
Più che tradizionale o comunque canonico, Lamborghini: The Man Behind the Legend sembra un biopic del secolo scorso, un’operazione anacronistica che riduce il genere alla restituzione del personaggio celebre fermandosi sul mero dato celebrativo, scegliendo quasi fieramente di mettere da parte la complessità in favore di un racconto dalle ambizioni schiettamente popolari.
Ora, non pensiamo che la vita (pubblica, anzitutto) di Ferruccio Lamborghini non si presti a un’epica, tutt’altro. D’altronde il cinema ci insegna che le avventure industriali possono offrire materiale per film molto belli, pensiamo a Tucker di Francis Ford Coppola. Ma la componente mitopoietica manca completamente nel film di Bobby Moresco (in bacheca ha l’Oscar per la sceneggiatura di Crash, condiviso con Paul Haggis), così appiattito sull’immaginario da esportazione di un’Italia oleografica e letto attraverso la lente tutta americana della parabola di successo del ragazzo partito dal basso.
L’ambizione internazionale, d’accordo, la collocazione su Amazon Prime Video si rivolge a un pubblico globale e così la durata contenuta (un’ora e mezza, nell’epoca delle serie che approfondiscono e dilatano biografie) sembra voler parlare a un pubblico meno sofisticato, senza sottovalutare che per l’azienda rappresenta anche il tentativo di creare qualcosa che possa avere ricadute sull’immagine del brand e della sua storia.
Sul piano narrativo, niente di dirompente, con tre capitoli che seguono la vita di Lamborghini e le regole dei manuali di sceneggiatura: l’iniziazione della giovinezza, segnata dal conflitto col padre fattore e dall’ambizione di costruire trattori all’avanguardia; il successo imprenditoriale con l’ideazione della prima autovettura, la Lamborghini 350 GT e un privato turbato dalla morte della prima moglie; la “caduta” con la crisi petrolifera, gli scioperi, la cessione della sua quota, i conflitti con la moglie. In sé l’iniziativa può pure reggere e va riempire il vuoto di quelle fiction generaliste che per tanti anni hanno celebrato figure italiane di spicco lasciando fuori campo vizi e contraddizioni.
Prodotto dagli attivissimi Andrea Iervolino e Monika Bacardi (provate a contare i loro titoli dell’ultimo decennio) con Danielle Maloni e Allen Dam, si avvale di un cast eterogeneo, simile a quello delle coproduzioni televisive di trent’anni fa, con star anglofone non del tutto rampanti (Frank Grillo, Mira Sorvino, Gabriel Byrne), italiani da export (il prolifico Fortunato Cerlino, addirittura il Giorgio Cantarini de La vita è bella) o in ascesa (Romano Reggiani).
Peccato che alla fine non si capisca molto dell’uomo e non si colga bene la leggenda, al di là della sfida con Enzo Ferrari (due nomi che evocano immagini comprensibili in tutto il mondo: il dopoguerra, i motori, il lusso…) che attraversa tutto il film senza mai emanciparsi dall’aneddotica per farsi mitologia. Sono film che avranno sempre un pubblico, per carità, ma uno sguardo meno convenzionale avrebbe giovato.