“Tanti si sentono l’anima gipsy. Ma chi vuole realmente vivere in un camper o in un container?”.

È quello che si domanda una ragazza rom nel film scritto e diretto da Ludovica Fales e dal titolo Lala. Minorenne e madre single, Lala (Samanta Paunković nella vita è cresciuta a Roma in un campo rom) vive in un appartamento occupato a Roma insieme al suo piccolo figlio Toto. La sua famiglia è arrivata tanti anni fa da Sarajevo dopo essere scappata durante la guerra dei Balcani. L’Italia l’ha accolta, ma non l’ha riconosciuta come rifugiata. In pratica non ha i documenti. Con tutte le conseguenze che questo comporta. Come lei ce ne sono tante altre nelle stesse condizioni. Giovani ragazze non riconosciute nel nostro paese perché i loro genitori sono nati altrove.

Tante “zingarelle”, come cantano gli Assalti Frontali nella bella Il mio nome è Lala sui titoli di coda, ovvero migranti adolescenti di seconda generazione, divise tra i valori della famiglia di origine e quelli portati avanti dalla loro vita scolastica e dalla loro cultura umana. Tra queste: Zaga (Zaga Jovanović, nata e cresciuta in un campo nella periferia est di Roma, grazie all'incontro tra lei e la regista tutto il progetto del film è cominciato) e Rahma (Ivana Nikolić, nata in Bosnia e fuggita con la sua famiglia di origine durante la guerra, qui nel ruolo di una ragazza siriana che vive nello stesso caseggiato di Lala).

Ma ci sono pure tanti ragazzi rom nati e cresciuti nei campi rom della capitale come Mino (Daniel Fota, qui nel ruolo del fidanzato di Lala) e Lucas (Leonardo Halilović, nei panni dell’amico di Lala), nonché Pasquale (Rašid Nikolić, nella vita è il fratello di Ivana, e qui interpreta un criminale che traffica passaporti falsi). Tra gli attori non professionisti anche Francesca Carducci, un’educatrice romana che segue adolescenti rom da vari anni e che ha visto più volte vanificare i propri sforzi a causa degli sgomberi che si sono succeduti nella capitale negli ultimi anni. Qui nelle vesti di un’assistente sociale.

Le musiche degli Assalti Frontali di sottofondo, un continuo passaggio tra realtà, verosimiglianza e finzione, un lavoro collettivo durato dieci anni per una storia che ci porta tra i paradossi della legge in un labirinto burocratico che regola l’ottenimento della cittadinanza.

Colpisce come non si capisca che questo sia un diritto fondamentale dell’uomo ovvero avere diritto ai propri documenti, così come al proprio nome e cognome. E viene in mente un altro doc, uscito quest’anno, Sconosciuti Puri di Mattia Colombo e Valentina Cicogna sui corpi senza nome che arrivano nella sala autoptica della dottoressa Cristina Cattaneo. Lì i morti erano senza identità, qui lo sono i vivi (fatto ancor più grave). Entrambi (i doc) cercano di dare voce a chi non ne ha.