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Furio Scarpelli vedeva nei romanzi di formazione di Charles Dickens uno dei fondamentali punti di partenza per fare cinema. Solo in quelle storie, sosteneva il grande sceneggiatore, si muove una partecipazione umana verso le cose della vita che passa attraverso un’ironia possibile solo perché prodotto del dolore. Può esistere commedia senza dolore? No.
Tra film e miniserie, del capolavoro di Dickens esistono moltissimi adattamenti, ma nessuno somiglia a La vita straordinaria di David Copperfield (peccato che l’anodino titolo italiano sostituisca l’originale The Personal History). Dietro questa trasposizione di spiazzante leggerezza ci sono Armando Iannucci (già alla regia del magnifico Morto Stalin, se ne fa un altro) e Simon Blackwell, che con grande amore per il romanzo interpretano fedelmente l’avventura umana del protagonista rivendicando l’adesione al registro umoristico e senza minimizzare o annullare per un secondo il peso specifico del dramma.
Dev Patel. Photo by Dean Rogers. © 2019 Twentieth Century Fox Film Corporation All Rights ReservedRespingendo la seriosità di troppi adattamenti che hanno imbalsamato la storia nel perimetro calligrafico, gli autori abbracciano la commedia e le sue forme, passando attraverso l’utilizzo di marche tipiche provenienti dal muto, dai film slapstick, dalle vignette, nonché caratterizzazioni di personaggi drammatici che si manifestano comicamente (o viceversa: indicativo l’ingresso in scena della zia, Tilda Swinton al di là di ogni elogio, con la faccia schiacciata sulla finestra).
Dal palcoscenico, il protagonista accompagna gli spettatori nella sua vita, entrando attraverso il fondale al suo primo giorno di vita: è il primo di una serie di meccanismi narrativi con cui assistiamo all’autonarrazione di David, impegnato per tutto il corso della vita a immortalare frasi, espressioni, modi di dire su pezzi di carta, tasselli di un ideale puzzle esistenziale che potrà ricomporsi solo nel finale.
Non è solo il racconto di un personaggio che viene messo di fronte a mille ostacoli (un patrigno crudele, lo sfruttamento minorile, adulti che si approfittano della sua ingenuità, la morte della madre, il declassamento economico), ma anche la costruzione di un autore e di conseguenza la maturazione della sua vena creativa, la reinvenzione dei fatti biografici in una dimensione romanzesca, la ricerca dell'identità (ognuno lo chiama con un nome diverso), l’irruzione nella realtà di visionarie immagini letterarie (la mano del patrigno che invade la casa-barca, i capelli dell’amata nello skyline londinese, la trasmissione orale che prende vita su tende e pareti).
Dev Patel, Rosalind Eleazar e Hugh Laurie. Photo by Dean Rogers. © 2019 Twentieth Century Fox Film Corporation All Rights ReservedNel contesto di un’Inghilterra vittoriana ripensata più con spettacolare teatralità e tinte sgargianti che seguendo la prevedibile e minuziosa ricostruzione d’epoca, Iannucci e Blackwell orchestrano un’ammirevole corale che traduce lo spirito contemporaneo dell’opera nella scelta di un casting inclusivo. Non cadiamo nella trappola di leggerla come un ammiccamento alle politiche di una rappresentazione più aperta e diversificata, ma come un altro modo di testimoniare il rifiuto del naturalismo e rimarcare lo spirito contemporaneo di una storia legata al suo tempo e al contempo che lo trascende.
A partire da uno strepitoso Dev Patel che pare nato per la parte, sono tutti attori britannici ma originari da mille altrove (Benedict Wong da Hong Kong, la svedese Morfydd Clark che fa sia la madre che l’amata, Nikki Amuka-Bird nata in Nigeria e qui dama dell’alta società). È un cast clamoroso e non si possono non citare Ben Whishaw come viscido e ambizioso arrampicatore e Hugh Laurie, meraviglioso nel ruolo di uno svanito cugino ossessionato dalla testa decapitata di Carlo I e che si salva (un po’) dalle nevrosi grazie agli aquiloni.