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La versione di Barney
"La vera storia della mia vita sprecata" - citiamo a memoria dalla Versione di Barney - è diventata l'occasione propizia per una buona fiction. Complice Paul Giamatti, maschera perfetta per il Panofsky di Mordecai Richler, lo scrittore canadese cui dobbiamo l'efficace bandiera di una generazione e l'unico eroe possibile della letteratura di fine secolo: uomo dei due mondi (è insieme canadese ed ebreo), cinico e amabilmente ironico, impacciato e romantico, presunto omicida e cuore tenero, Barney incarnava il tramonto ideologico del secondo dopoguerra e la bestia rara di ogni tempo. Difficile immaginare una personificazione migliore di quella di Giamatti che, con il Firth di King's Speech e l'Eisenberg di The Social Network, meriterebbe l'Oscar. L'attore è corpo e coscienza di Barney, se il corpo di Barney - con quella fiera mollezza e il suo inesplicabile carisma - è pure coscienza.
Notevole lavoro anche quello dello sceneggiatore Michael Konyves, bravo a sfrondare un romanzo lungo e ingarbugliato, raccontato in prima persona e strapieno di annotazioni psicologiche. A lui il merito di aver conservato lo spirito salace e insieme poetico del romanzo, e la colpa di aver fornito all'esordiente regista (Richard J. Lewis) il pretesto per una pigra illustrazione per immagini. Riabilitata comunque da un cast che, oltre al già ricordato Giamatti, offre l'ottimo contributo di Dustin Hoffman nel ruolo del ruvido padre e i puntuali servizi di tre deliziose signore Panofsky: Rosamund Pike, Minnie Driver e Rachelle Lefevre. Va ascritto agli interpreti il merito di scartocciare una confezione fin troppo patinata, mentre l'occhio paga pegno al cervello, solleticato da battute al vetriolo che ricalcano arguzie e amarezze del miglior Woody Allen.
I fan del romanzo segneranno - c'è da scommetterci - la misura del tradimento (il personaggio sul grande schermo ha un tono più dolente; lascia poi perplessi la scelta di ambientare a Roma, e non a Parigi com'era nel libro, gli anni di formazione di Barney) ma a noi pare piuttosto che l'operazione voglia rivolgersi al pubblico digiuno di Richler. Non resterà scontento. Se insieme al cast e allo sceneggiatore ci fosse stato pure un regista, avremmo avuto probabilmente la Versione perfetta.