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La vallées des fous - Foto Guy Ferrandis
Jean-Paul (Jean-Paul Rouve) è un uomo alla deriva. Vedovo, con una figlia ancora non adolescente da mantenere, è costretto ad abbandonare la propria abitazione per vivere temporaneamente al piano superiore del suo ristorante, locale fortemente voluto dalla moglie defunta ma che vive una profonda crisi economica.
La bottiglia sembra l'unico rimedio per Jean-Paul, per il quale la vicinanza della figlia e del padre (Pierre Richard), con il figlio maggiore che a suo tempo lo ha abbandonato per dissidi insormontabili (e ora ben avviato alla carriera da chef...), non sembrano più bastare per riemergere da un baratro che sembra profondissimo.
Ma nella "valle dei folli" - come da titolo, La vallée des fous - ecco che l'occasione per provare a riaffermarsi sembra dietro l'angolo, anzi nel giardino del ristorante.
È lì dentro, in quella barca buttata lì da chissà quanto, che Jean-Paul troverà la possibilità di un riscatto che alle prime sembra impossibile: chiudersi per 80 giorni a bordo per partecipare alla regata virtuale Vendée Globe e tentare di arrivare almeno tra i primi 3 per aggiudicarsi un premio in denaro che metterebbe fine ai troppi debiti accumulati.
Presentata in Grand Public alla XIX Festa di Roma, la nuova fatica di Xavier Beauvois (Uomini di dio) è un classico racconto di riscatto che passa attraverso i canoni del film sportivo: l'idea geniale è quella di confinare il protagonista a pochi metri dal resto dell'azione (dove, senza spoilerare troppo, cambieranno molte cose all'interno del ristorante mentre Jean-Paul è chiuso in quella barca), senza per questo alludere in continuazione all'enorme distanza che piano piano andrà colmandosi tra lui e i suoi affetti.
L'oceano è solo immaginato, virtuale, ma è in quell'abisso profondo e a volte pericoloso che i demoni di quell'uomo potranno prendere il sopravvento definitivo, o finire finalmente inghiottiti dalle onde: Beauvois gioca col simbolismo, certo, e approfitta anche delle derive mediatiche che un'impresa del genere finisce per suscitare (tra camere fisse sull'esterno dell'imbarcazione e dirette YouTube dall'interno), con trovate che non possono non far pensare anche al recente periodo pandemico (le videochiamate tra il padre e la bambina, Madeleine Beauvois, figlia del regista), ma senza mai perdere di un millimetro l'impronta umanista che anima sin dal principio tutta la struttura del film. Storia di una difficile traversata tra le intemperie della vita, navigando a vista con la forza di volontà per salvaguardare se stessi e gli affetti più cari.