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Una tomba per le lucciole
“La sera del 21 settembre 1945 io morii.”
Sulla sorte dei due protagonisti il regista Isao Takahata (co-fondatore dello Studio Ghibli insieme ad Hayao Miyazaki) elimina subito ogni dubbio e inizia il film mostrando l’adolescente Seita, che si accascia in una stazione ferroviaria fra l’indifferenza generale per ricongiungersi alla sorellina Setsuko in forma di spettro.
Nessun film d’animazione ha mai osato infrangere con tale potenza un tabù che solo Roberto Rossellini o Andrei Tarkovskij avevano svelato in tutta la sua disumanità: l’infanzia distrutta dalla follia della guerra. Paradossalmente, ciò che fa più male è proprio la delicatezza con cui Takahata narra gli ultimi mesi di vita dei due fratelli, dal bombardamento di Kōbe (5 giugno 1945) al dramma inesorabile della fame.
Uscito in patria nel 1988 (in Italia arrivò in home-video), Una tomba per le lucciole è una pellicola tanto straziante quanto necessaria, al pari delle grandi opere antimilitariste create affinché simili tragedie non si verifichino mai più. Il 10 e l’11 novembre giunge per la prima nei nostri cinema in qualità di evento Koch Media con nuovo doppiaggio (come in ogni riedizione Ghibli, a cura di Gualtiero Cannarsi). Non perdetevelo, ma lasciate a casa i bambini: è emotivamente arduo da reggere persino per i grandi, soprattutto se genitori.