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1920. L’ottantesimo genetliaco di Giovanni Verga richiama in Sicilia Luigi Pirandello (Toni Servillo). All’arrivo a Girgenti, l’odierna Agrigento, lo attende una brutta notizia: la morte dell’amata balia Maria Stella. Per darle degna sepoltura incontrerà due becchini, (O)Nofrio Principato (Salvo Ficarra) e (Se)Bastiano Vella (Valentino Picone), che per diletto fanno teatro.
Un disguido ritarda il funerale della balia e costringe Pirandello ad addentrarsi nei gironi infernali degli addetti, per lo più corrotti, al cimitero. Aspettando le esequie nella sua casa nella valle del Caos, lo scrittore pensa a una nuova commedia, ma il processo creativo è inquieto: visioni, ricordi, struggimenti. Tornato a Girgenti, Pirandello spia le prove e assiste alla prima della nuova farsa dei becchini, La trincea del rimorso, ovvero Cicciareddu e Pietruzzu.
Nel teatrino in cui si è radunato l’intero paese, la spassosissima recita suscita una violenta reazione in platea che costringe Nofrio e Bastiano a interrompere la rappresentazione. L’atmosfera vira dal comico al tragico, la resa dei conti non risparmia nessuno, nemmeno Pirandello, al contempo divertito e turbato dall’imprevisto.
1921, Roma. Al Teatro Valle il pubblico delle grandi occasioni conviene per la prima di Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. In platea, anche Nofrio e Bastiano, ospiti dell’autore. Anche stavolta il finale sarà imprevedibile.
Prodotto da Bibi Film e Tramp Limited con Medusa Film e Rai Cinema, in collaborazione con Prime Video, La stranezza è diretto da Roberto Andò, “nasce dall'intesa elettiva con Ficarra e Picone, due straordinari interpreti della comicità e dell’anima siciliana” e si concreta in una “fantasia intorno a Pirandello in cui la Sicilia diviene il grembo fecondo dell’immaginazione e del sogno, un luogo in cui il teatro e la vita confluiscono in un unico flusso che scorre indistinto”.
Se Ficarra, Picone e Servillo, peraltro rassomigliante assai allo scrittore, se la cavano alla grande, La stranezza rischia la sottovalutazione, per molteplici e tutti infingardi motivi. Andò non è, e non ha mai voluto essere, autore alla moda, può anche piacere alla gente che piace, ma al più è un’esternalità. Positiva, ci mancherebbe. Fa un cinema colto, anche dotto, di buona e perfino squisita fattura, lento all’ira e ricco di grazia.
Sopra tutto, metariflessivo, ovvero metalinguistico, sempre letterato e sovente letterario: Pirandello e la filodrammatica, l’autore e gli amatori, convergenze parallele della stessa arte, con beneficio d’invenzione più che d’inventario. Non è pop, Andò, ma il suo cinema è popolare per intenzione e definizione, e nella sua misura più alta, giacché eleva anziché abbassarsi. Si veda l’impiego di Ficarra e Picone, davvero bravi.
E, più sottilmente, come in questa “fantasia” sia Pirandello a prendere ispirazione dagli amatori, e non viceversa. E come agli stessi teatranti della domenica sia concessa pieno mandato spettatoriale al cospetto di Sei personaggi. E come, infine, abbiano loro il palco. E l’ultima parola.
Che stranezza la piena democrazia, soprattutto nella cultura. Viva la libertà.