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Bruno Bozzetto, Ludovica Nasti e Samuele Teneggi in La storia del Frank e della Nina
Aveva voglia di raccontare la sua Milano Paola Randi. E lo ha fatto con La storia del Frank e della Nina. Diciamolo subito: in realtà ce la racconta Gollum (Gabriele Monti), un narratore senza voce, eppure onnipresente nel film come voce fuori campo (e spiace ma è proprio questo che non funziona). Gollum è uno che gorgoglia e non parla perché le parole gli si inceppano nell’epiglottide, in compenso riempie di scritte le mura della sua città, lo evitano tutti, tranne il Frank e la Nina. Rispettivamente interpretati da Samuele Teneggi e Ludovica Nasti (la più brava). Il Frank invece pensa che Gollum sia un genio e lui la vita, che fa schifo, te la fa vedere a colori.
Per cui la Randi, in questo film presentato a Venezia 81 nella sezione Orizzonti Extra e prossimamente in sala con Fandango, mescola colori e bianco e nero per descrivere questi personaggi in cerca, non d’autore, ma di rame (con strizzatina d’occhio cinefila a La chimera: “rubiamo e ridiamo vita al passato”) che vivono tra i palazzi Gescal di Sesto.
Come un miraggio, in lontananza si vedono la Circonvallazione esterna e i grattacieli futuristici del centro di Milano, questi presidiano una città in qualche modo futuristica e “di sognatori”, come la stessa Randi la descrive. E tali, ovvero sognatori, sono anche il Frank e la Nina. Lui che si innamora a prima vista di lei e lei che vuole studiare per la terza media (e qui le lezioni da autodidatta spaziano dai pois di Yayoi Kusama alle citazioni di Calvino) sfuggendo a un marito violento e pericoloso, che si chiama Duce (Marco Bonadei).
Nel cast anche Anna Ferzetti, nel ruolo della mamma di Frank, e Bruno Bozzetto, ovvero Il Comandante. La Randi torna sul campo della favola e della commedia un po’ lunare e surreale stile Tito e gli alieni (2018), ma Gollum, sebbene muto anche lui, non riesce a bissare il fascino del professore napoletano muto e senza nome, che spendeva la sua vita nel deserto del Nevada ascoltando il suono dello Spazio alla ricerca di una voce.
Qui, in questa famiglia autodefinitasi “Il combo” che vorrebbe aprire tutte le serrature con la sua magia, c’è troppa voce (fuori campo) e molto spazio (quello che salva il film). Ma scoprire una Milano inedita tra la stazione di Sesto San Giovanni, Porta Garibaldi e Centrale, ex acciaierie Falk, Politecnico, QT8, San Siro e l’Idroscalo, tra le fermate dei tram e della metro, ahinoi, non basta a far volare questo film che, per intenzioni e sulla carta (scritto dalla stessa Randi), aspirerebbe proprio a questo.