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sorgente fiume angelopoulos
Ne abbiamo visto solo il primo episodio, ma si annuncia già come un'opera monumentale la Trilogia con cui Theo Angelopoulos ha deciso di posare il suo sguardo da Ulisse sugli ultimi ottant'anni di Storia: dalla Russia del 1919 alla New York dei nostri giorni. Coprodotto da Grecia, Italia, Francia, l'episodio iniziale ha titolazioni diverse per ogni Paese (eppure tutto si potrà dire, meno che trattarlo da "europudding"). In Italia è La sorgente del fiume; in Francia Helene, come la protagonista femminile; in inglese suona The Weeping Meadow - e il riferimento al pianto appare forse il più pertinente per un film tutto, precariamente posato sull'acqua e dove l'elemento liquido allude continuamente al pianto che bagna il ciglio dei personaggi. Odessa 1919, dunque. All'arrivo dell'Armata Rossa, la comunità greca fugge nella terra d'origine e s'insedia sull'estuario del grande fiume che sfocia nel Mediterraneo. Cresciuti insieme, Alexis ed Eleni si amano da sempre: ma il padre del ragazzo, rimasto vedovo, vuole sposare la fanciulla. Costretti a lasciare il villaggio, gli innamorati errano attraverso il Paese e arrivano a Salonicco, dove Alexis si guadagna la vita suonando la fisarmonica. Nascono due bambini; ma la Grecia è in crisi, il fascismo prende il potere e l'uomo parte per l'America, cui ha sempre guardato come alla mitica terra della Felicità. La separazione, che doveva essere breve, dura all'infinito. Scoppia la seconda guerra mondiale; mentre Alexis si arruola nell'esercito, onde ottenere la cittadinanza americana, Heleni è incarcerata per opposizione al regime. I figli della coppia militano su fronti opposti, come in una tragedia classica; e tragico è il loro Fato. Fino dalla prima scena, ambientata sull'estuario del fiume e fotografata da Andreas Sinanos in immagini composte come dipinti (mai statiche, però; dotate invece di un intrinseco ritmo filmico), Angelopoulos dà prova del suo sublime, intemerato manierismo: adotta i ritmi lenti di lunghi piani-sequenza dove la reticenza sposa ' nel modo di cui solo lui è capace ' quel senso della tragedia che il regista ha succhiato col latte materno della cultura greca. Lo si può prendere, lo si può lasciare. Difficile, in ogni caso, disconoscergli la capacità di mettere in scena la Storia attraverso le vicende private di una piccola comunità di persone: chiave rappresentativa tentata da moltissimi, ben poche volte riuscita. La sequenza in cui Heleni e le altre donne vanno alla ricerca dei corpi dei loro cari caduti in battaglia è indimenticabile; alcune (l'incontro dei due fratelli sul terrapieno, ad esempio) appaiono meno ispirate, forse. Ma se non riserviamo la definizione di cinema "in grande" a un'opera come questa, a che cosa siamo soliti attribuirla?