PHOTO
La sirenetta © 2023 Disney Enterprises, Inc. All Rights Reserved. Photo Credit: Giles Keyte
Forse Hans Christian Andersen non avrebbe mai immaginato che la sua Sirenetta sarebbe diventata un fenomeno così popolare nel tempo. Il punto di partenza era una fiaba nera, con un finale tormentato. La protagonista doveva uccidere il principe per salvarsi. Il suo cuore le impediva di farlo, restava bloccata in un limbo, nella speranza di poter raggiungere il Paradiso. La Disney ha poi edulcorato la disperazione, il senso di tragedia che permea il racconto. È rimasto solo quello spirito di attesa, legato anche alla statua di Copenaghen, ormai una meta di pellegrinaggio.
Capelli rossi, voce angelica, pinne lucenti: Ariel è tra le principesse più famose di sempre. Il cartone animato del 1989 fa brillare ancora oggi gli occhi a generazioni differenti. Era solo questione di tempo prima che arrivasse il live action. Ormai si tratta di uno dei filoni più remunerativi per la Disney, e si affianca ai supereroi della Marvel, a Guerre Stellari, alla Pixar.
La sirenetta di Rob Marshall è solo l’ultimo elemento di un sistema ben rodato, a volte al cinema, altre direttamente su piattaforma. L’ultimo è stato Peter Pan & Wendy di David Lowery, ma in cantiere ce ne sono molti altri, tra cui sequel e spin-off. Qui Marshall si concentra sulla famiglia, e cerca di essere trasversale.
Amplia l’originale, arriva a 135 minuti di durata, lavorando sulle coreografie e sull’elemento spettacolare, nonostante gli effetti speciali non siano sempre al massimo. Ci sono le canzoni più famose, i beniamini amati dal pubblico. Il ritmo è vorticoso, e poggia sulle spalle di un’ottima Halle Bailey, che conferma di avere una voce fuori dal comune. Non è un caso che abbia ottenuto cinque nomination ai Grammy. Ma la prima domanda che bisogna farsi è se questo tipo di operazioni abbiano ancora un senso.
Da tanti punti di vista sì, perché in un’epoca di crisi i “classici rivisitati” possono riportare il pubblico in sala. Non si tratta solo di qualità, ma anche di ossigeno al box-office. E comunque, alla fine, La sirenetta si rivela più creativo e vibrante di molti suoi predecessori. Manca un po’ di vigore, ma la voglia dell’operazione è chiara. Colori accesi, tanta simpatia e una buona dose di sorrisi sono gli ingredienti di un film che racconta una storia antica e prova comunque a essere moderno, oltre che politicamente corretto.
Ovviamente il significato impresso da Andersen viene ancora una volta ribaltato. Ariel perdeva la voce e doveva conquistare il suo condottiero. Per lui era una prigionia, una mancanza di libertà nel vivere le sue passioni. Qui è un sacrificio temporaneo, una scommessa. È un modo alternativo per spingere verso l’inclusione, abbracciare tutto ciò che è lontano da noi. Sentimenti adatti a ogni età in un’avventura che ha fatto scuola, insieme a quelle delle colleghe Biancaneve, Cenerentola, Elsa (Frozen), Pocahontas, per citarne solo alcune. Per chi scrive, la più travolgente è Mulan, ma forse il live action in questo caso sarebbe da evitare.
La situazione di Ariel la conosciamo. Vive “in fondo al mar”, suo padre è il re, e ha una zia che trama nell’ombra per ottenere il tridente del potere. Lei è giovane, attratta dal mondo degli uomini, e in particolare dal rampollo della casa reale. Riusciranno due universi opposti e paralleli a incontrarsi? Ciò che ci riserva il futuro lo conosciamo già. Ma come si canta in Lilli e il vagabondo: “Quanto è dolce sognar e lasciarsi cullar nell’incanto della notte”. In questi anni difficili abbiamo sempre bisogno di abbracciare l’incredibile, dimenticando per un attimo che nel nostro mondo, fatto di cemento e senza granchi parlanti, il lieto fine non è poi così scontato.