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Al di là dei cliché che solitamente accompagnano, talvolta deformano, l’immagine esterna dei Testimoni di Geova – dall’ossessione per i citofoni, vera e propria macchina da proselitismo, alla questione assai controversa delle trasfusioni di sangue – poco si sa dei seguaci del Regno, particolarmente protettivi delle cose del gruppo.
Un motivo in più allora per apprezzare La ragazza del mondo, esordio nel lungometraggio di Marco Danieli, a memoria primo film italiano a entrare nelle segrete stanze del movimento. La protagonista, Giulia (Sara Serraiocco), è una diciottenne di stretta osservanza finché l’incontro con Libero (Michele Riondino), un giovane dai trascorsi difficili, non la spingerà a chiudere i conti con il suo passato e a diventare una “ragazza del mondo”. Ma il percorso di emancipazione si rivelerà più complicato del previsto.
Sia la Serraiocco che Riondino hanno vinto per le loro interpretazioni il Premio Pasinetti a Venezia, dove La ragazza del mondo era in cartellone alle Giornate. E in effetti se l’attenzione al decor e alla caratterizzazione psicologica dei personaggi l’apparentano ai film d’autore italiani, La ragazza del mondo sa d’altra parte dialogare anche con un pubblico più ampio, lavorando sulla morfologia del racconto attraverso il filtro di genere, come il mélo e il crime (nonostante il detour narrativo nella seconda parte, con la svolta noir, convinca poco).
Al netto di certe artificiosità (perché cercare sempre la scena esemplare, che dica tutto?) e dell’incapacità di allargare lo sguardo oltre il personaggio principale, dando spessore e veridicità ai mondi che attraversa (la scuola, il sottobosco criminale, gli stessi Testimoni di Geova), La ragazza del mondo è un esordio che lascia buone sensazioni. Purché non ci si accontenti “di intraprendere una strada”, riprendendo lo stesso Danieli, ma di percorrerla fino in fondo. Come la sua Giulia, senza tornare indietro.